walt-disney-mickey-500x594Sala Pastrone ore 10
Asti DOC – WALT DISNEY E L’ITALIA di Marco Spagnoli
Nato per accompagnare l’uscita in sala di Saving Mr Banks, il documentario di Marco Spagnoli sulla relazione che lega Walt Disney e l’Italia è l’occasione di una piacevole passeggiata attraverso più generazioni di personaggi nostrani, riunite sotto l’egida della comune passione per i fumetti di zio Walt. E non sono solo differenti generazioni a sfilare davanti alla videocamera, ma anche personalità dalla provenienza culturale assolutamente diversa e materiali di repertorio preziosi e poco noti o comunque dimenticati. La voce di Serena Autieri introduce con fare zuccheroso la storia di un amore precoce e duraturo, che accomuna Bruno Bozzetto e Giovanni Muciaccia, Giacomo Scarpelli e Fausto Brizzi, Umberto Eco e Lillo e Greg. Un amore fatto di appuntamenti periodici, quali sono da sempre le uscite degli almanacchi di Topolino in edicola, che il grande Attilio Bertolucci non esita a definire “insaziabile” e che non dà cenni di cedimento nemmeno quando viene interrotto dalla guerra (anzi, le strisce di Topolino sono l’unico fumetto non inviso al fascismo). Un amore a senso unico? Il documentario mira a smentire questa facile ipotesi: l’Italia non pende soltanto dalle labbra – o meglio, dalla matita – di Disney, ma regala alla dinastia dei paperi tanti personaggi originali, che la casa madre americana approva e ingloba. Disney viene accolto da noi come una rockstar ante-litteram da una folla oceanica di ammiratori di tutte le età (1961), controlla personalmente il doppiaggio dei suoi film, ospita con piacere registi e sceneggiatori italiani nella sua Disneyland in California. Ed è proprio uno di loro, Federico Fellini, a fornire forse inconsapevolmente la chiave di lettura della relazione sentimentale tra l’inventore dell’animazione americana più amata nel mondo e il popolo italiano. Della produzione di Disney, infatti, Fellini apprezza la commistione di buffonesco e patetico, comico e commovente: caratteristiche che, con una generalizzazione un po’ selvaggia, potrebbero descriverci da vicino e spiegare la passione. Dai fumetti ai film (Bennato, si sa, predilige Peter Pan, mentre Enzo D’Alò segnala la magistrale lezione di cinema insita nella terribile sequenza della morte della mamma di Bambi), il discorso si fa via via più generale e si parla di uomini e di animali, di favole e di realtà, nei due filmati più curiosi e rari: quello in cui Carlo Mazzarella scorta Walt Disney tra i viali dello Zoo di Torino e quello in cui a dibattere sul tema sono un giovane Umberto Eco, il maestro Manzi e l’indimenticato Gianni Rodari.
Sala Pastrone ore 21
Asti DOC – AMORE CARNE di Pippo Delbono
Incontro con l’autore
In un saggio pubblicato per Einaudi, Jonathan Franzen racconta l’infatuazione delle nuove generazioni per i moderni dispositivi, biasimando l’insopportabile ‘chiacchiera al cellulare’ e l’ostentazione pubblica inflitta al prossimo. Franzen non desidera la privacy per sé, vorrebbe soltanto evitare che quella degli altri irrompa nella sua. Altro punto di vista, altro impiego, altre considerazioni e conclusioni sono quelle a cui arriva Pippo Delbono, interrogandosi sulle potenzialità estetiche e poetiche del cellulare con il quale ha interamente girato il suo film. Non è la prima volta che accade, lo aveva già fatto quattro anni fa con La paura, pedinandola lungo le strade e indagandone le espressioni sui volti della gente. Amore Carne è un film altrettanto intimo che abdica la ‘distanza’ e avvicina la realtà per essere nelle cose. A turno, un cellulare e una piccola camera full-HD ‘incontrano’ attori, compositori, persone comuni, familiari, clinici, registrano il terrore presente (il terremoto de L’Aquila) e le colpe del passato (Birkenau) alla ricerca di amore e carne per esprimere la necessità di esistere del ‘vero’ e di esistere davvero. Avviato da una camera d’albergo, a cui il film tornerà con un movimento circolare, Amore Carne intercala la realtà con l’arte, il pasto materno con la “Ballata delle madri” di Pasolini, l’esilio con la musica di Alexander Balanescu, il bosco delle betulle di Birkenau con gli inediti di Michael Galasso. Sul mare e il battello ebbro di Rimbaud, trasposizione dell’esperienza biografica del poeta e del regista, Delbono naviga a vista, guardando al mondo con una disposizione inedita, visionaria, onirica. Contrappunto ideale del suo teatro, il cinema di Delbono trasgredisce la narrazione e i suoi tradizionali legami logici, infilando un presente allucinatorio e travolgendo le categorie di tempo e di spazio. Amore Carne produce un linguaggio che non deve necessariamente comunicare ma piuttosto evocare, dilatando infinite possibilità di suggestione attraverso il gioco delle analogie e delle associazioni di immagini. Dietro, davanti e accanto alla ‘macchina da presa’, Pippo Delbono è corpo fuori campo e voce in campo, corpo che si ‘verifica’ con un test di cui già conosce l’esito, voce deformata e fisicizzata che esibisce una partitura sonora di parole, acuti, grida, spezzature. Attore-autore, Delbono non fa spettacolo di sé ma dell’universo, che la leggerezza e la portabilità di un telefonino rendono immediatamente accessibile. La forma e la ‘messa in scena’ diventano invito all’osservazione e all’attesa in una sorta di irresistibile attrazione della realtà, che finisce per ritrovare l’intima coscienza del mondo. Amore Carne ha la serena bellezza di Marie-Agnès Gillot, i silenzi musicali di Bobò, la grazia aristocratica di Marisa Berenson, la frontalità coreografica di Pina Bausch, da cui mutua la scelta di rappresentare la condizione umana in modo diretto, senza cercare il riparo di una storia o di un’allegoria. Parafrasando T. S. Eliot, se venite da queste parti, spettatori, spogliatevi dei sensi e della ragione e rimanete umani. Uomini di carne, ossa e amore.
a seguire, fuori concorso, SANGUE, di Pippo Delbono