Sono passati 12 anni da quando il 21 agosto 2000, tra le 19.14 e le 19.15, un forte sisma colpì il Piemonte meridionale con epicentro localizzato a Incisa Scapaccino (provincia di Asti). Le due scosse, giunte con un intervallo di circa venti secondi l’una dall’altra, furono di magnitudo 4,6 e 4,8 sulla scala Richter (equivalenti al VII grado della scala Mercalli) e seminarono il panico tra la popolazione.
Un anno più tardi, il 19 luglio 2001, una replica di magnitudo inferiore (4,2 Richter – VI grado scala Mercalli) fu registrata con epicentro nella stessa zona.
Il sisma fu avvertito sensibilmente dalla popolazione senza tuttavia creare danni di rilievo.
Il terremoto del 21 agosto 2000, invece, di danni ne causò parecchi, soprattutto nell’Alessandrino (113 comuni interessati), nell’Astigiano (danni in 98 comuni) e nel Cuneese (1 sola segnalazione nel comune di Mango).
Estrapolando i dati contenuti in un’accurata analisi prodotta dalla Regione Piemonte a seguito dell’evento tellurico (aggiornata all’11 settembre 2000) si evince che la scossa delle 19.15 rappresentò l’episodio principale di una sequenza sismica iniziata già nella mattina del 20 agosto, quando una lieve scossa di magnitudo 2.2 fu rilevata dai sismografi alle 3.46. In tutto furono nove le scosse “premonitrici”, tutte inferiori a 3.1 Richter, mentre ulteriori movimenti d’assestamento si verificarono nei giorni successivi; la scossa più intensa il 25 agosto 2000, all’1.21, di magnitudo 3.5.
La zona, come riportato anche nella mappa elaborata dall’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), è tutt’oggi indicata a bassa pericolosità sismica e fino a quel giorno, negli ultimi 50 anni, non furono registrate scosse significative.
Per trovare un evento di simile entità bisogna scorrere il calendario fino al 5 agosto 1982, quando una scossa di magnitudo 4.4 si verificò con epicentro nell’area di San Damiano, ossia una quindicina di kilometri più a ovest rispetto all’area dell’agosto 2001.
Le cronache dell’epoca parlano di centinaia di chiamate giunte alla centrale dei vigili del Fuoco e di molta gente che, per la paura di nuove repliche, decise di passare la notte in macchina (fonte: Corriere della Sera).
«La sensazione che abbiamo avuto – raccontò ai cronisti un’anziana signora di 86 anni rimasta bloccata in casa dalla caduta dei calcinacci – è stata quella di un enorme boato, come se la casa si staccasse dal terreno».
Il terremoto avvenne nella zona di transizione fra la catena degli Appennini e le Alpi Occidentali, interessando una superficie in cui storicamente i sismi si verificano con una certa frequenza ma mai d’intensità superiore al 6° grado della scala Richter.
Nella provincia di Asti si ebbero 6715 segnalazione di danni ad edifici e/o infrastrutture e vennero effettuati 4431 sopralluoghi che portarono all’ordine di evacuazione per inagibilità totale o parziale per 696 edifici e coinvolsero 173 persone. Anche il patrimonio artistico dell’Astigiano fu colpito, con danni in 161 chiese, 28 castelli, 36 palazzi e 54 edifici vari.
In particolare furono segnalate criticità al carcere di Asti, con lesioni in corrispondenza dei giunti del muro di cinta, all’ex Intendenza di Finanza, con lesioni agli intonaci e distacco di alcuni elementi di rivestimento della “torre”, al vecchio carcere di via Testa, con l’accentuazione di danneggiamenti preesistenti alla copertura. Danni meno significativi per la Questura, dove venne rilevata la lesione di un cornicione, e all’ex Caserma Colli di Felizzano, dove si verificò lo scivolamento di coppi dal tetto e furono periziate crepe diffuse negli edifici.
La spesa complessiva per la messa in sicurezza degli immobili sopraelencati fu stimata approssimativamente in 850 milioni di lire, mentre la somma per i primi interventi d’urgenza fu quantificata in 350 milioni.
Un nulla rispetto ai danni per 5 miliardi di euro calcolati a seguito del terremoto che ha sconvolto l’Emilia circa tre mesi fa, il 20 maggio 2012, quando una scossa di magnitudo 5.9 della scala Richter ha dato il via a un’infinita serie di repliche sismiche che interessano tuttora la pianura padana emiliana.

Fabio Ruffinengo