Suggestioni di fine estate nel titolo dell’incontro organizzato da Ethica mercoledì scorso al polo universitario di Astiss, “Sapore di male”. E se l’assonanza fa correre immediatamente il pensiero alle canzoni di Gino Paoli o al revival anni sessanta di Carlo Vanzina, il sottotitolo lo imbriglia nella ben più accademica definizione “Il gusto tra etica e neurofisiologia”.

Il giornalista Beppe Severgnini, incaricato da Vittorio Dan Segre di moderare il dibattito, ha definito questo “un titolo intrigante”, subito dopo aver aver ricordato che, pur non essendo mai stato ad Asti prima, aveva usato come epigrafe per uno dei suoi libri una frase di Vittorio Alfieri: “Tutto serve al grande studio della specie bizzarra degli uomini”.

Dalla considerazione sulla bizzarria degli uomini è partito Severgnini per lanciare un amo ai due relatori, il neuroscienziato Alfredo Fontanini della Stony Brook University di New York e padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose.

“Perché certe azioni, in Italia, tipo rubare il posteggio ai disabili, non provocano più disagio? Perché denunciare un terzo del proprio reddito non provoca malessere? Perché oggi, da noi, copiare una tesi di laurea  viene giustificato dal diretto interessato e dai suoi familiari e amici? In una società sana il disagio sarebbe il primo campanello di allarme. In Italia questo campanello non suona, perché non c’è riprovazione sociale: malfattori ed egoisti frequentano altri malfattori ed egoisti. Per togliere il cattivo sapore dai cattivi comportamenti ci si contorna di adulatori, mentre i critici vengono allontanati. E’ una storia italiana di cui tutti siamo testimoni, inizia vicino a casa e arriva a Palazzo Chigi”.

“Di base – ha spiegato Alfredo Fontanini – biologicamente, il nostro sistema del piacere è sensatissimo. Ciò che minaccia la vita come il gusto amaro – tipico dei veleni animali e vegetali – e  quello acido – tipico dei processi di fermentazione che creano alte cariche batteriche – viene respinto. Ci piace e ricerchiamo ciò che la asseconda come il dolce (segnale di calorie), il salato (indispensabili sali minerali), l’umami (il cosiddetto quinto gusto, tipico degli aminoacidi). Il sistema ha una sua morale, il piacere è una bussola per l’organismo”. Come a dire: quando i comportamenti verso il piacere non sono fisiologici si sfiora l’immoralità.

“I sensi ci pongono in contatto con l’alterità”, ha detto Enzo Bianchi. “L’atto di mangiare è un atto sensoriale totale, che coinvolge il gusto, il tatto, l’olfatto, la vista, l’udito all’altezza della bocca, la soglia tra esteriorità e interiorità. E anche il cibo ha un aspetto esteriore e uno interiore. La vista: lo sguardo anticipa l’esperienza del cibo e mette in moto un’elaborazione simbolica del reale. L’olfatto: basta passare davanti a una panetteria al mattino sentendo l’odore che ne esce per capire il senso della vita. Il tatto: la sensibilità termica della bocca e la diversa consistenza dei cibi che a volte basta come discrimine del gusto gastronomico. L’udito: antropologicamente la tavola è il momento della socialità, del discorso, è a tavola che si parla di eros, di vita e di morte. Il gusto è un momento valutativo essenziale: in materia di alimentazione il giudizio di valore non è facoltativo”.

Così rileva padre Bianchi, prima ancora che si formi la capacità del linguaggio il bimbo è in grado di distinguere il buono e il cattivo nel cibo, e la madre, imboccandolo, fornisce al figlio la struttura della scelta.

E le medicine, gli integratori, la chimica, i brevetti farmaceutici che promettono eterna giovinezza? “La nostra natura può essere aiutata – ha concluso il ricercatore bresciano – ma mutarla radicalmente crea effetti strani, distorsivi: esiste un’eleganza nella biologia, bisogna rispettarla”.

Marianna Natale