Quanto è ancora credibile la professione del giornalista nei tempi moderni? Venerdì scorso, in occasione della tradizionale ricorrenza di San Francesco di Sales (patrono di giornalisti, scrittori, attori, sordomuti e, più in generale, del Piemonte), il vescovo di Asti, mons. Francesco Ravinale, ha ospitato nella sede del Vescovado gli operatori della comunicazione nell’Astigiano per affrontare il tema dell’etica professionale nel mondo dell’informazione nei tempi moderni. Per farlo, l’ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Asti ha invitato un esperto del settore, il prof. Andrea Melodia, presidente dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana) e giornalista RAI dal 1966 al 2009, che può vantare nella sua lunga carriera professionale vari incarichi direttivi (dal 1985 è stato in direzione generale RAI come vicedirettore giornalistico) e responsabilità manageriali nell’ambito dell’Azienda di Servizio Pubblico nazionale. La prolusione di Melodia è stata interamente dedicata alla credibilità del settore dell’informazione: stando al rapporto CENSIS/UCSI 2011, infatti, più della metà del campione a cui è stata posta la domanda ha definito le ricostruzioni giornalistiche dei fatti “poco fedeli”, viziate da sensazionalismi che maggiormente si addicono alle fiction. Inoltre, l’iniziativa giornalistica viene spesso percepita come coartata da poco trasparenti commistioni con il mondo della politica. Un quadro molto desolante che pone l’accento sul deciso passo indietro del settore in termini di credibilità sociale. La soluzione? “Ci vogliono competenza, qualità e un lavoro eticamente corretto” ha puntualizzato Melodia, invitando i giornalisti a gestire al meglio il “nuovo linguaggio narrativo”, mezzo imprescindibile nel giornalismo moderno ma che va utilizzato tenendo sempre in primo piano la fedele ricostruzione dei fatti. La confusione linguistica tra informazione e spettacolo sempre più spesso va a braccetto con un altro problema di natura deontologica citato pocanzi, ossia il rapporto tra stampa e potere. Giornalisti “strilloni” o indicati come “prezzolati” sono le figure più pericolose nel campo dei media, particolarmente in questo periodo di profonda trasformazione della professione grazie all’avvento delle nuove tecnologie (smartphone, social network ecc) che rendono sempre più labile il confine tra lettore e creatore di contenuti. Se è vero che ormai tutti siamo in grado di comunicare un fatto, sta al giornalista scremare le fonti e plasmare il contenuto attingendo dalla sua professionalità. “L’informazione non è spettacolo – è il monito di Melodia – e il giornalista deve ovviamente gerarchizzare le notizie ma allo stesso tempo rendere chiaro il metodo utilizzato, senza tentativi di manipolazione”. Melodia ha quindi suddiviso in tre tipologie l’attività giornalista: un terzo del tempo è dedicato all’attività di routine (ricezione delle notizie, copia/incolla di comunicati stampa, rielaborazione di testi), il cosiddetto “desk” che è, secondo il professore, “il più pericoloso dal punto di vista etico” in quanto è molto basso il livello di attenzione. Dove il giornalista invece sfodera appieno il proprio talento è nelle situazioni di emergenza: un esempio è dato dalle catastrofi naturali, dove l’operatore deve riportare in un breve lasso di tempo e con assoluta fedeltà quello che vede con i propri occhi, con il solo ausilio di fonti spesso improvvisate. Se da una parte questa condizione porta in grembo i maggiori rischi, dall’altra eleva lo stato di vigilanza al massimo, risvegliando la professionalità troppo frequentemente annichilita da lavori di bassa manovalanza (vedasi il succitato copia/incolla). Il terzo ed ultimo aspetto, che Melodia giudica eccessivamente tralasciato, è quello relativo alla progettualità: “Si pensa troppo al quotidiano e non al futuro: nell’era di internet e delle interconnessioni non professionali, il giornalista deve dedicare il massimo impegno per riportare i fatti con assoluta fedeltà e nel pieno rispetto dell’etica”. Da evitare, quindi, le strumentalizzazioni l’eccessivo voyeurismo: un esempio sono i classici “discorsi da bar” che diventano fonte di dibattito e quindi notizia, che viene poi ripresa da altri quotidiani generando un sistema schizofrenico agli occhi dei lettori. E’ tuttavia assolutamente ingenuo demonizzare la modernità ma il giornalista non può dimenticare che la notizia, amplificata con l’ausilio dei social network, tende a creare radicalismi. I nuovi media sono infatti più “liquidi” e tendono a svilire il rapporto di comunicazione: ci si confronta, o scontra, tra gruppi di utenti che vivono in “bolle chiuse”, il tutto a discapito della verità dei fatti. Melodia ha quindi concluso il proprio intervento ricordando il ruolo del media per eccellenza, la televisione, che come il rock ‘n roll è stata troppo spesso data per “morta” ma che invece ha semplicemente subito un processo di ibridazione: se è vero che, soprattutto i giovani, seguono con minor attenzione i palinsesti, i contenuti televisivi sono spesso rimbalzati su internet, coinvolgendo anche i soggetti più giovani che mal digeriscono l’idea di essere legati ad un telecomando. La televisione resta quindi al centro del mondo dell’informazione e per restare al passo con i tempi molti programmi hanno ormai implementato un rapporto diretto con i telespettatori grazie ai social network: basti pensare ai famosi hashtag di Twitter lanciati in onda dalla regia, a cui seguono brevi messaggi utilizzati anche dal conduttore per sviluppare i temi della serata. Le parole di Melodia sono state molto apprezzate anche dal sindaco di Asti, Fabrizio Brignolo, che intervenendo nel merito della discussione ha sottolineato quanto sia importante il senso di responsabilità dei giornalisti: “C’è sicuramente una crisi di credibilità nel mondo del giornalismo ma questo discredito è ormai esteso a diversi ambiti professionali (medico, istituzionale, politico), anche se in verità il servizio offerto non è affatto scaduto, anzi, si è arricchito e professionalizzato rispetto al passato. Il problema è che il sistema non riesce più a dare risposte ai cittadini, manca una chiara prospettiva del futuro e questo influisce negativamente sulla percezione della popolazione. Ora più che mai la classe dirigente deve capire dove investire, canalizzando gli sforzi per offrire un futuro ai tanti giovani e alle famiglie sempre più in difficoltà”. Fabio Ruffinengo

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