Da stasera, giovedì 18 a martedì 23 settembre in Sala Pastrone sarà proiettato Un ragazzo d’oro, il nuovo film di Pupi Avati, interpretato da Riccardo Scamarcio, Sharon Stone (per la prima volta impegnata sul set di una produzione italiana), Cristiana Capotondi e Giovanna Ralli. IL FILM: Davide Bias è un creativo pubblicitario col sogno di scrivere qualcosa di bello, di vero. Ansia e insoddisfazione, però, lo accompagnano: per tenerle a bada, solo le pillole. Quando suo padre, uno sceneggiatore di film di serie B, muore, Davide si trasferisce a Roma, dove incontra la bellissima Ludovica, un’editrice interessata a pubblicare un libro autobiografico che il papà di Davide aveva intenzione di scrivere. Il libro, in realtà, lo scriverà lui, come se a farlo fosse suo padre: questo lo aiuterà a riconciliarsi finalmente con la figura paterna, ma non a risolvere le sue inquietudini… Chi è il padre? Un estraneo o colui che ci ha amato? Cos’è un artista? Ci possiamo salvare dal fallimento, come uomini e come artisti, e dalla follia? Sono queste le domande che ci pone Pupi Avati in Un ragazzo d’oro, lungometraggio anomalo che pone in primo piano una star come Sharon Stone ma lavora, in profondità, sull’introspezione, sul senso più autentico di sé. Dunque, il gioco fatuo della celebrità e quello intimo dei legami familiari; il leggiadro tradimento affettivo e una drammatica, silente complicità. Il film parte dalla morte di Achille Bias, sceneggiatore e padre, apparentemente fallimentare in entrambi i ruoli, oltre che marito assente. E parte da un figlio, Davide Bias (Riccardo Scamarcio) chiamato a fare i conti con un figura paterna a cui addebita tutti i mali della sua esistenza. L’esplorazione del rapporto padre-figlio, da parte di Avati, si arricchisce così di una triangolazione in qualche modo autobiografica (confermata dalla presenza, come co-sceneggiatore del film, proprio del figlio): una riflessione su un ragazzo divenuto adulto che si chiede cosa resterà di sé come padre e come artista. “L’ostinazione che vivo sul rapporto generazionale”, ha detto il regista bolognese, che sullo stesso tema ha girato Il papà di Giovanna, Il figlio più piccolo e La cena per farli conoscere, “la devo al fatto che mio padre è morto quando avevo dodici anni, e nessuno è più presente dell’assente. È anche vero che se ho potuto coltivare sogni bizzarri è stato per mia madre, visto che non c’era papà che mi spingeva verso professioni più concrete e remunerative. Mio padre era antiquario e rappresentante e voleva produrre un film prima di morire. Io ho realizzato il suo sogno. Come regista posso dire che il figlio di Un ragazzo d’oro è uno dei giovani più belli non solo nella mia filmografia, ma in assoluto, proprio il ragazzo d’oro, un figlio che dona la sua sanità mentale per recuperare il rapporto con il padre”. Si tratta di due individui che hanno pudore e difficoltà a comunicare. “Vivo l’ebbrezza del fallito”, ha detto Avati, “ho la sensazione di non aver fatto ancora il film della mia vita, e visto che gli anni passano, mi sembra di assomigliare un po’ ad Achille Bias. Lo sento incombere e l’ho simulato”. Nei panni di una ex attrice degli anni Novanta, diventata editrice, Sharon Stone mostra curiose confidenze attoriali con il cinema di Avati, instancabile tessitore di nuove stoffe cinematografiche per personaggi apparentemente molto distanti dal proprio universo di riferimento (da Christian De Sica a Neri Marcorè, da Katia Ricciarelli a Ezio Greggio, da Vanessa Incontrada a Cesare Cremonini, tutti utilizzati, nel corso degli anni, con pertinenza e originalità). Ma in Un ragazzo d’oro si avverte la presenza scenica di Giovanna Ralli, la cui recitazione riesce a imprimere densità alle sequenze nelle quali, come madre di Davide e moglie di Achille, è richiesta la sua partecipazione. Mentre Cristiana Capotondi, in un ruolo non facile, costretta a un continuo alternarsi di slanci affettivi e gestioni di crisi nervose, conferma la sua maturità interpretativa.