“All’arrivo alle tre di notte la città di Mombasa immersa nel sonno ci accoglie con una temperatura estiva. A quest’ora non possiamo di certo andare dalle suore della Consolata che ci ospitano per tutto il periodo, speriamo breve, di sdoganamento dei mezzi. Circa venti giorni prima per la onlus CIS avevo imbarcato a Genova sempre grazie alla generosità della Messina, un’ambulanza acquistata a prezzo di favore dalla Newcocar di Beinasco e il land rover regalatomi da Raimondo Cusmano di Calamandrana. I due nuovi compagni : Piero R. e Roberto R. a lungo andare hanno risentito anche loro delle difficoltà del viaggio. Un quarto componente del gruppo dopo qualche giorno di attesa per lui “ improduttiva” se n’è andato lasciandoci in tre a guidare due mezzi in Kenia ed Uganda con guida a sinistra e quindi particolarmente pericolosi. Un terzo componente in Uganda  mentre era alla guida dell’ambulanza, forse per la stanchezza, è sparito per circa un giorno senza aspettarci . La missione delle suore della Consolata di Mombasa in riva all’oceano indiano è molto efficiente. E’ diretta con mano sicura da suor Maria Antonietta che deve avere il dono della ubiquità perché è dappertutto efficientissima e cordiale. Si occupa della scuola primaria con qualche centinaio di bambini, dell’ambulatorio medico, dei lavori sul tetto e nel giardino, di fare arrivare l’acqua, bene supremo da queste parti. La sorella è sempre sorridente ma decisa, il cuoco che ci ha scelto è veramente bravo. Roberto ,Piero ed io siamo entusiasti del trattamento ricevuto. Dopo otto giorni di snervante attesa duranti i quali con Roberto andavo quotidianamente in dogana ed al porto per le pratiche di sdoganamento che qui procedono con molta lentezza, finalmente partiamo. Lasciamo l’ecografo nella missione in vista della sua collocazione definitiva nell’ospedale keniano di Wamba circa 1000 km a nord. La strada non è male ma molto trafficata; come ognuno che è stato da queste parti sa, l’indisciplina è la regola ed il furbo la fa sempre franca. Di notte alcuni automezzi  viaggiano a fari spenti. Abbiamo in previsione di fare tappa dal dr. Gian Franco Morino che lavora in un ospedale nella periferia nord di Nairobi da circa 24 anni, e che ci sta aspettando. Il grave ritardo accumulato ci impedisce però di fermarci lì. Dobbiamo anche sacrificare la tappa all’ospedale di Matany nel nord est dell’Uganda ; e cosa ancora peggiore non possiamo entrare in sud Sudan come previsto e fermarci due giorni alla missione di Giuba del salesiano Jim Comino che avevo conosciuto in Sudan dieci anni prima. Per un disguido con l’ambasciata dell’Uganda ci viene concesso un solo ingresso nel paese pur avendone chiesti due. I due amici in un primo momento sembra che accettino di buon grado le variazioni obbligate del programma. Roberto pare instancabile nei primi giorni di guida del fuori strada, più tardi anche per lui  la stanchezza accumulata si farà logicamente sentire. In Uganda perdo il cellulare che mi serviva anche come macchina fotografica e cinepresa. Qui in Uganda dai salesiani lasciamo il land rover destinato alla loro missione in Sud Sudan. Dopo un giorno di snervanti  ricerche troviamo per fortuna quel compagno che si era staccato da noi;  ci aspettava in un hotel della capitale; Cose che capitano in questi posti dove ognuno pensa a sé stesso. Con Roberto pazientemente lo raggiungiamo con un taxi ( cosa che avrebbe benissimo potuto fare lui, perché gli avevo detto che se ci fossimo persi di vista, l’appuntamento era poco fuori Kampala dai salesiani di Bombo, dove lui non ha neppure pensato di andare).  Riprendiamo il viaggio; è quasi sera,  i compagni decidono di fermarsi dopo aver percorso 150 km. Sono le cinque della sera,  sono stanchi e li capisco; non sono abituati ad un viaggio simile. Una buona cenetta a Masaka riporta l’allegria. Il giorno dopo finalmente arriviamo in Ruanda. Il direttore sanitario arriva alla dogana con due ore di ritardo; per me è normale ma i compagni insistono perché gli ritelefoni, cosa che faccio per evitare discussioni. Dopo otto ore di attesa finiamo le pratiche doganali. Alla dogana del Kenia ci avevano applicato sotto il sedile di guida dell’ambulanza senza avvertirci un registratore che controllava i nostri movimenti. Entrando in Ruanda ci è stato chiesto perché non lo avessimo restituito. Cose da matti! Una bella ragazza incontrata in dogana  ci chiede autostop fino a casa sua;  accetto di portarla a Kigali nella capitale, lei ora vorrebbe che la portassimo fino a Ghitarama, ma io rifiuto. Finalmente qui in Ruanda la guida è a destra come in Italia; il dr. Eugene direttore sanitario dell’ospedale di Murunda  ci fa la proposta di andare direttamente con il suo fuoristrada all’ospedale; è tardi, gli chiedo di fare sosta per la cena che ci offre di buon grado presso un convento di suore a Kigali, capitale del Ruanda. Apprezziamo la sosta anche perché abbiamo saltato pranzo. Con noi ci sono anche alcuni signori forse europei. L’ottima cena ci rianima un po’. Dobbiamo andare alla dogana centrale e lasciare l’ambulanza in attesa che vengano espletate le pratiche di esenzione del dazio. Rimosse le targhe come di consueto, per consegnarle all’Aci, il dr. Eugene riparte con il suo fuoristrada per portarci all’ospedale vicino al lago Kivu. Kigali di notte ci fa un’ottima impressione, ordinata, pulita, bene illuminata, non sembra più quella città che avevo conosciuto durante gli anni del genocidio, la gente cammina tranquilla, accurata nel vestirsi, non un velo fra le donne. Adagiata sulle mille colline sembra un presepe. Lasciato l’asfalto, imbocchiamo una strada sterrata con lavori in corso anche di notte, questo tratto si inerpica sui fianchi della montagna. Dobbiamo raggiungere i 2600 m. La strada pur suggestiva ci sembra interminabile. Purtroppo per l’oscurità non possiamo apprezzare la bellezza del posto ed il vicino lago di cui ho un ottimo ricordo. I numerosi eucalipti ci inondano con il loro profumo, quando vengono abbagliati dai fari sembra che le  foglie siano fosforescenti. E’ già mezzanotte passata e continuiamo a salire, come dice Piero è difficile pensare che sia stato costruito un ospedale in un posto simile, non si incontra alcun villaggio e data l’ora non c’è anima viva. In alcuni punti siamo completamente in mezzo al fango ma con la trazione 4 per 4 non c’è problema. Come faranno a fare arrivare l’ambulanza fin lassù ? Eppure mi avevano detto che a loro serviva molto in quel posto! Un cartello in mezzo alla foresta ci avverte che dovremmo essere arrivati all’ospedale. Poco dopo infatti entriamo nel cortile dove qualcuno ci accoglie festoso: è l’una e mezza di notte. Il percorso è stato faticoso, ma il nostro autista è meglio di Schumacher, anzi durante tutto il viaggio ci allieta cantando con la sua segretaria canzoni ruandesi con la radio a tutto volume. Si capisce che è molto contento ! Purtroppo nelle camere l’acqua manca, ci arrangiamo con quella raccolta. Nessuno di noi ha avuto grossi problemi ad addormentarsi. Il mattino dopo colazione anche a base di frutta locale, visitiamo la missione. Uno dei padri molto giovane ci dà la sua scheda telefonica per comunicare con casa; decidiamo di visitare la scuola ma arriviamo proprio nell’ ora di ricreazione. Siamo sommersi da un numero immenso di bambini festosi che cercano in ogni modo di toccarci con garbo. Ogni classe ha una propria divisa; sono raccolti nell’ampio cortile dove come di rito con allegria e canti ci danno il benvenuto. Roberto non si aspetta un’accoglienza simile ed  è commosso. Le autorità insistono perché  io risponda al loro saluto in inglese; penso che data l’età non lo conoscano, ma mi sbaglio! Capiscono subito tutti le mie parole augurali e di incitamento a continuare gli studi ed applaudono contenti.  Andiamo poi a visitare l’ospedale guidati da una caposala, giovane suora veramente molto preparata. Lo stato paga lo stipendio al personale ospedaliero locale. Anche lì mi fanno pressioni perché mi fermi almeno un mese ad insegnare qualche concetto di cardiologia. Dopo pranzo telefono a suor Giampaola della congregazione del Divino Zelo conosciuta nel 1994 proprio lì vicino, nel sud del Ruanda a Butare. Arriviamo all’ora di cena. Entrando nella missione, anche qui rullio di tamburi e festosi canti delle suore e delle novizie. Inutile dire che gli africani hanno la musica nel sangue, con un bel ritmo cadenzato ed allegro. Contento abbraccio la suora e mi commuovo, anche Roberto fa altrettanto. Ottima cena con ampia scelta di piatti locali a base di verdura e frutta. La sorella non è per nulla cambiata, sempre con il suo spirito gioioso e cordiale inframezzato da qualche tono ironico e scherzoso. Voglio fare conoscere a Piero e Roberto l’ospedale dove lavoravo nel 94 durante la guerra civile. Chiedo alla suora se ci vuole portare fino a Gatare nella loro missione nel bel mezzo della foresta ad oltre 2700 metri di altezza. So che il viaggio è lungo, quasi tutto su strada sterrata. La sorella accetta e dopo cena ci consiglia di andare a riposare, cosa che non ci facciamo ripetere. Rientrati nelle camerette ci  abbandoniamo sul letto. Il posto è tranquillo, La mattina successiva Piero non si sveglia per andare a messa alle sei. Arrivati alla missione di Gatare , dopo aver attraversato splendidi panorami mozzafiato con in lontananza il bellissimo lago Kivu, siamo completamente circondati da colline con coltivazioni a terrazze di tè, banane, riso nei tratti pianeggianti; visitiamo l’ospedale e la scuola elementare e primaria annesse. Anche qui nugoli di bambini festanti. Non riconosco più il posto, tutto è cambiato, mi fa molto piacere rivedere l’infermiere locale di oltre 23 anni prima; anche lui è molto contento.  Dopo pranzo torniamo a Butare perché il cielo si sta annuvolando e se dovesse piovere non potremmo più muoverci per qualche giorno, abbiamo il volo la notte del giorno dopo. Sulla strada di ritorno c’è una collina completamente occupata da profughi controllati dall’Alto commissariato Onu dei rifugiati. Poco più in là vediamo  una risaia venire lavorata dai prigionieri  che si riconoscono per il colore della casacca. Da notare che è stata fatta una legge che proibisce l’uso dei sacchetti di plastica. La pulizia regna ovunque. La polizia vigila sempre molto gentile ma attenta. La sera grazie a mio fratello Gian Carlo da Torino la radio tenta di collegarsi con noi per la diretta ma invano. Finalmente dopo circa mezz’ora arriva il segnale: riusciamo a parlare con la brava Stefania anche se a volte la voce risulta poco chiara. Il mattino successivo, l’ultimo, con la suora andiamo a fare acquisti in una cooperativa composta da famiglie che confezionano artigianalmente oggetti  vari di legno fatti a mano. Roberto ed io ne acquistiamo un buon numero da omaggiare a parenti ed amici. Il pranzo in un ristorante di Kigali ci viene offerto dalla suora come ringraziamento dei pacchi che abbiamo portato per la sua missione; gestisce un centro per bambini abbandonati e orfani. Dopo pranzo ci congediamo dalla suora che ci consiglia di riposare un po’ al centro di religiosi Saint Paul dove ci accompagna. Il volo parte in piena notte.  Nel primo pomeriggio del giorno dopo mia moglie Ivana viene a prenderci ad Alessandria per portaci a casa uno ad uno. Ci salutiamo soddisfatti per il lavoro svolto. A Guarene d’Alba mia figlia Sara ci sta aspettando per la cena, dopo qualche giorno anche l’altra figlia Barbara con Claudio mi raggiungono. Ringrazio i due amici con cui ho diviso il viaggio e tutte le persone che ci hanno aiutato, giornalisti inclusi: Grazie!” Pier Luigi Bertola