federico-buffaProvate a chiedere ad un appassionato di sport chi sia “L’avvocato” e molto probabilmente gli verranno in mente due persone: il primo è Gianni Agnelli, il secondo risponde al nome di Federico Buffa. Giornalista, commentatore e telecronista sportivo di Sky, il cui cognome – associato a quello di Flavio Tranquillo – è ormai diventato una sorta di mantra per tutti gli amanti del basket americano, Buffa è prima di tutto un brillante storyteller, un “narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni”, per usare le parole del noto critico televisivo Aldo Grasso. Un talento poliedrico dimostrato anche nel corso della serata di lunedì scorso, presso il Teatro Alfieri, durante la tappa astigiana dello spettacolo “Federico Buffa racconta le Olimpiadi del 1936”, che ha rappresentato il debutto teatrale del giornalista milanese. Con lui in scena i musicisti Alessandro Nidi e Nadio Marenco e la cantante Cecilia Gragnani, per raccontare attraverso un format decisamente originale una delle edizioni più controverse dei Giochi Olimpici: quella di Berlino 1936, per l’appunto, che Hitler su consiglio di Goebbels tentò di utilizzare come potente strumento di propaganda, e che vide tra i protagonisti “scomodi” gli atleti di colore Cornelius Johnson, Dave Albritton e soprattutto Jesse Owens, dominatore assoluto dei Giochi e vincitore di quattro medaglie d’oro, o ancora il trionfatore della maratona Sohn Kee-chung e il terzo classificato Nam Sung-yong, entrambi coreani costretti a gareggiare per il Giappone a causa della dominazione nipponica sul proprio Paese. Senza dimenticare Leni Riefenstahl, regista talentuosa e visionaria a cui il Führer affidò la realizzazione del film celebrativo delle Olimpiadi berlinesi, e Wolgang Fürstner, comandante del villaggio olimpico suicidatosi tre giorni dopo la chiusura dei Giochi: personaggi solo apparentemente di secondo piano in questa storia di sport e di guerra, personaggi che Buffa ha saputo magistralmente evocare per rivivere appieno – e in modo non banale – quei giorni di agosto del lontano 1936. Numeroso il pubblico giunto al Teatro Alfieri, nonostante si trattasse di uno spettacolo fuori abbonamento. Al termine della serata, abbiamo incontrato Federico Buffa nel foyer del teatro e gli abbiamo rivolto alcune domande. La mitica coppia Buffa-Tranquillo si sciolse verso la fine del 2013 per volontà di Sky, che per te aveva altri progetti legati al calcio: prima il ciclo “Federico Buffa racconta Storie Mondiali”, poi l’avventura come inviato e opinionista ai Mondiali. Che esperienza è stata quella a Brasile 2014? È stato un regalo che Sky mi ha fatto, non credevo di poter avere il privilegio di assistere ad una competizione di quel livello; pensa che io non avevo mai visto una partita dei Mondiali, nemmeno in occasione di Italia ’90. Sì, ero già “vaccinato”, nel senso che avendo assistito a tante finali NBA ero abituato a vivere lo sport ad altissimo livello dal vivo, ma obiettivamente, quando sei lì, è una sensazione forte, fortissima. Se devo dirti la verità, più fuori dal campo che dentro: i Sudamericani hanno vissuto l’evento con una passionalità che noi nemmeno ci possiamo immaginare. Una cosa pazzesca, la gente era incredibile. Parliamo di basket. Bargnani, Gallinari, Belinelli e infine Datome: tutti in qualche modo sono stati sottovalutati nel corso della loro carriera in NBA, sia dagli addetti ai lavori sia dal pubblico americano. Ma chi, secondo te, ha subito maggiormente questo trattamento? Senza dubbio Belinelli, e pure clamorosamente, direi: ha passato due anni senza giocare e poi è stato fondamentale nei playoff per più di una squadra, playoff che finora, tra gli italiani, solo lui ha giocato da protagonista. Anche un po’ il Gallo – ricordo ad esempio una serie contro i Lakers, e in generale il Gallo ha più talento e può essere dominante se sta bene, però la sensazione è che Marco abbia più capacità di comprendere i diversi contesti in cui si ritrova a giocare, e questa è una virtù che ti aiuta a restare in NBA a lungo. Hai parlato di playoff NBA, che quest’anno si preannunciano più incerti e impronosticabili che mai: ad Est il nulla e ad Ovest il “troppo”, ma in ogni caso l’equilibrio è assicurato. Come al solito, ma questa volta in modo esagerato. Non lo so, all’inizio dell’anno avrei detto Chicago ad Est, però come sempre c’è qualcosa che sembra andare storto. Il post-Michael Jordan per i Bulls si conferma difficile, sebbene abbiano spesso una squadra da titolo o perlomeno da finale. Ad ogni modo, l’Est probabilmente se lo giocano un paio di squadre, l’Ovest… Non ho la più pallida idea. Pensa solo al possibile accoppiamento tra Golden State e Oklahoma City al primo turno: partiresti subito con una serie pazzesca. Gabriele Musso