“Spett.le Gazzetta d’Asti,
Egregio direttore,

La crisi economica che, dal 2008, ha sconvolto i sistemi finanziari mondiali, generando un’ondata di panico che ha travolto banche, fondi, imprese, stati e  nazioni,  ha messo alla luce la debolezza di un’intera classe politica. Quella stessa classe politica che, in qualche misura, ha lasciato prosperare quelle degenerazioni finanziare che poi sono state alla base di questo enorme, catastrofico disastro economico.                La crisi che è nata come economica, quindi, si è andata ben presto a connotare come strutturale, istituzionale, politica. E in momenti di crisi politica, il panico dovuto alla mancanza di certezze induce chiunque a cadere nel disincanto, nel disimpegno, nella rassegnazione. Sentimenti populistici e demagogici di natura qualunquista si diffondono fra la gente, un muro invisibile inizia a dividere i cittadini dalla classe dirigente che dovrebbe rappresentarli. L’”antipolitica” inizia a regnare sovrana, la fiducia e la voglia di costruire il proprio futuro vengono accantonate, sostituite da una visione egoistica per cui risulta importante solamente la propria “sopravvivenza”, a discapito della società, della comunità.                Di fronte ad una situazione politica del genere, esistono, quindi, due modi di porsi, di improntare il proprio agire. Esistono due categorie di persone: c’è  chi decide di essere parte del problema e chi della soluzione. Nel primo caso, ci si lascia trascinare in balia degli eventi, si compiange la propria situazione, ci si lamenta contro la politica e contro i suoi fallimenti, ma non si attua nulla di propositivo, ci si rifugia nella protesta. Nel secondo caso, invece, si decide di prendere in mano le redini del proprio futuro, si inizia a cambiare il proprio comportamento per cambiare la società e le condizioni in cui essa si trova. Si reagisce, si combatte, si tenta di ricostruire.              
A maggior ragione, noi giovani non dobbiamo rassegnarci, non dobbiamo abbandonarci alla protesta senza proposta. Non dobbiamo essere parte del problema, ma sentirci parte della soluzione. Il domani è nelle nostre mani, non possiamo “lasciarci vivere” e abbandonare ogni speranza di poter creare qualcosa. Sarà sicuramente difficile, ma è in gioco il nostro futuro. Dobbiamo tornare ad appassionarci, a volerci dare da fare per la società e, quindi, per noi stessi. Dobbiamo tornare a pensare in grande, a sentire il bisogno di cambiamento e a lottare per conquistarlo.                Siamo il futuro del nostro Paese. Dobbiamo cercare di renderlo un futuro migliore. Dobbiamo riscoprire la voglia di fare Politica”.

Gianluca Olivero