“Da sempre chi non riesce a trovare una connotazione lavorativa ideale nel proprio paese è spinto a migrare. Nel corso degli anni abbiamo avuto innumerevoli esempi: la migrazione verso le colonie africane degli anni 20, verso l’America degli anni 30, dall’est all’ovest Italia degli anni 50 e dal sud al nord negli anni 60 e 70. Negli anni 80 abbiamo visto il nord africa riversare migliaia di uomini e donne nei paesi europei con le mete preferite in Italia e Francia. Dagli anni 90, con la caduta del muro di Berlino, dall’est all’ovest Europa  e dalla Cina. Con la sua nomea internazionale di “Belpaese”, l’Italia è stata una delle mete più ambite da uomini, donne e famiglie disposte a fare i lavori più umili, a essere sottopagati, a essere emarginati a volte sfiorando la schiavitù, vivendo in una società razzista a volte degna degli stati secessionisti del sud degli States nel XIX secolo. Oggi, grazie a quasi dieci anni di recessione economica non sono solo gli italiani a cercare lavoro all’estero ma anche gli stessi migranti lasciano il nostro paese alla ricerca di “pascoli più verdi”. È l’odissea dei cinesi, ad esempio, spinti oggi verso  il Canada o la stessa Cina in pieno sviluppo economico. Non sono solo loro ad abbandonare l’Italia, però, molti africani sono in partenza per Londra e Stati Uniti, mentre i migranti dell’est Europa oggi prediligono i paesi nordici. La prima causa dell’esodo è sicuramente la crisi del lavoro e il “radicato razzismo” della società italiana certo spinge tanti a preferire altre mete. Gli attacchi di matrice razzista sono in aumento la comunità nera è quella che ne risente di più. È un cancro nel sangue degli italiani. Mi dispiace dirlo. La partita di calcio Pro Patria – Milan è forse l’ultimo e più telematico degli episodi. Viviamo in un paese dove addirittura ci sono partiti politici che hanno fondato campagne elettorali sull’intransigenza razziale. Ma cosa succederà fra qualche tempo?  Molti credono che gli italiani non si dispiaceranno per questo esodo; altri invece pensano che la fuga sarà soprattutto incentrata su manovalanza non qualificata lasciando un “vuoto da riempire”. Noi pensiamo che un Paese come il nostro che deve tornare a crescere e che sta invecchiando ha bisogno di migranti; le economie non crescono senza un aumento della popolazione, soprattutto di quella in età lavorativa”. Giuliano Palotto, dirigente sindacale Usae