saitta2“Egregio Signor Luciano Nattino, ho letto la sua testimonianza riportata da alcuni organi di informazione e le sue preoccupazioni relative all’ospedale di Asti. Ho un grande rispetto delle paure e delle angosce dei cittadini, le comprendo e come amministratore ho il dovere di farmene carico e di fornire delle risposte (realistiche e concrete). Come lei sa sono stato recentemente ad Asti per incontrare gli amministratori locali e spiegare loro i principi che stanno alla base della delibera sul riordino delle rete ospedaliera. Innanzitutto, la delibera applica nella nostra Regione il Patto per la Salute che è stato sottoscritto nell’estate del 2014 tra il Governo e tutte le Regioni italiane. Applicare tale Patto e il relativo regolamento è, dunque, un nostro dovere. Il Patto per la salute detta una classificazione degli ospedali (Dea II livello, Dea I livello, ospedali di base e ospedali di area disagiata), stabilendo quelle specialità che obbligatoriamente ogni ospedale deve avere (secondo precisi parametri relativi ai bacini di utenza, ai passaggi ai PS, ai volumi, ecc).  Abbiamo voluto procedere rapidamente all’adozione della delibera perché la nostra Regione dal 2010 è sottoposta a piano di rientro: di fatto, siamo commissariati e sottoposti a un continuo monitoraggio dal Tavolo Massicci di Roma (Ministero Economia e Ministero Salute). Siamo sottoposti al piano di rientro perché il Piemonte è l’unica Regione del centro-nord a spendere più degli 8 miliardi del fondo sanitario: abbiamo circa 400 milioni di euro di sprechi. Essere sottoposti a piano di rientro significa, per esempio, non poter assumere personale. Il nostro obiettivo è uscire entro il 2015 dal piano di rientro per poter tornare ad assumere personale medico e infermieristico e per poter recuperare margini di libertà nelle nostre decisioni che ora ci sono negati. Il riordino della rete ospedaliera non è dettata da obiettivi di carattere economico (risparmi potrebbero esserci solo nel medio-lungo periodo), ma è finalizzata a garantire salute e sicurezza ai cittadini. La sanità piemontese è caratterizzata da un’eccessiva frammentazione, abbiamo troppi reparti con una bassa attività e la letteratura scientifica dimostra che laddove i volumi sono bassi aumenta il rischio per i pazienti. Vogliamo garantire i servizi, riducendo i primariati cresciuti a dismisura: servono ospedali più forti e servizi più efficienti. Girando per i territori tutti mi parlano di eccellenze. La sanità piemontese sembrerebbe una sommatoria di eccellenze imperdibili e di centri di riferimento nazionale e internazione. So bene che le eccellenze ci sono, so dove stanno, ma se la sanità piemontese fosse quella che mi viene descritta, non solo non saremmo sottoposti a piano di rientro, ma non avremmo una mobilità passiva di circa 40-50 milioni di euro l’anno verso non solo la Lombardia, ma verso diverse altre Regioni. Con la delibera sul riordino della rete ospedaliera abbiamo applicato il Patto per la salute spiegando che le Specialità non assegnate verranno definite in un momento successivo secondo una logica di quadrante e spiegando anche che la soppressione di un primariato non pregiudica il servizio che verrà sempre e comunque garantito ai pazienti. Chi, vuoi in buona fede vuoi strumentalmente, ha ignorato queste premesse – e una corretta lettura della delibera in questione – ha finito per alimentare un allarmismo ingiustificato facendo circolare numeri un po’ a casaccio sui reparti che dovrebbero venire chiusi e sui posti letto tagliati (l’Asl di Asti ne perde complessivamente una trentina). Entrando nello specifico della struttura del Cardinal Massaia: resteranno come Specialità la Radioterapia, la Gastroenterologia, la Chirurgia Vascolare, la Geriatria e il Centro Trasfusionale. Per quanto riguarda le Malattie infettive, ci riserviamo di valutare nei prossimi due anni (la delibera non è automatica, verrà applicata in un biennio), ma è un dato di fatto che non vi sono i parametri che giustificherebbero il mantenimento. Saranno poi gli atti aziendali dell’Asl a valutare servizi che sono territoriali e non ospedalieri (per es. diabetologia), e che quindi non sono interessati da questa delibera. Per quanto riguarda altre specialità come Pneumologia o Chirurgia Maxillo-facciale queste devono stare in un Dea di II livello e richiedono bacini che Asti non ha: ma anche in questi casi i servizi verranno mantenuti. Non si può ignorare la realtà: Asti è piccola, l’ospedale è sovradimensionato, e ci sono molte specialità con attività piuttosto bassa e sotto la media regionale. Alla luce della nostra delibera e degli adattamenti che qui le ho illustrato, l’ospedale di Asti si configurerà come un Dea di I livello con diverse Specialità proprie di un Dea di II livello. Quindi rafforzato e non penalizzato. So bene che sono stati fatti investimenti nel passato, e non solo ad Asti: ma per anni la sanità regionale è stata priva di programmazione, è cresciuta in modo incoerente secondo logiche localistiche, e ora dobbiamo porre rimedio agli errori del passato. La vicende della struttura della Valle Belbo mi pare esemplare: dobbiamo garantire risorse per completare un presidio che non potrà essere un ospedale e che è frutto di un gigantismo sanitario che oggi non solo non è più sostenibile economicamente, ma non costituisce una risposta adeguata ai bisogni di salute della popolazione. Inoltre, quando ad aprile verranno nominati i nuovi direttori generali, l’assessorato assegnerà loro obiettivi non generici, ma specifici, articolati, e di quadrante, perché solo in un ambito di quadrante l’ospedale di Asti potrà trovare un suo futuro e una sua specificità. Ai direttori verranno assegnati compiti specifici sul versante dell’assistenza territoriale: il riordino della rete ospedaliera verrà attuato CONTESTUALMENTE alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale (assistenza domiciliare, continuità assistenziale, AFT e UCCP). Credo che abbiamo operato degli aggiustamenti significativi rispetto a una mera applicazione automatica dei parametri del Patto per la Salute, e proprio oggi da Roma è giunta una prima valutazione positiva del nostro lavoro. Probabilmente non sarò riuscito a convincerla e a dissipare tutti i suoi timori (più che legittimi in chi soffre di una malattia come la sua); spero, però, di averle trasmesso il fatto che ciò che anima il mio operato è esclusivamente la volontà di restituire dignità alla sanità del Piemonte, mettendo al centro la salute e la sicurezza dei cittadini”. Antonio Saitta, assessore alla Sanità Regione Piemonte