CGIL“Si stima, per difetto, siano oltre tre milioni e mezzo. Lavorano spesso nel mezzo di   sprechi e inefficienze, senza adeguate tutele e senza che vengano riconosciuti e rispettati   i diritti minimi. Sono quelli che lavorano ‘in appalto’, o peggio in sub appalto, inseriti in un   segmento produttivo che, per quanto riguarda i soli appalti pubblici, rappresenta più del   15% del Pil nazionale mentre al 2%, sempre del Pil, ammonta la variazione dei costi per   gli appalti relativi a beni e servizi”.   Da questa analisi la Cgil promuove la campagna ‘Gli appalti sono il nostro lavoro. I diritti   non sono in appalto’ a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema.   Sempre più spesso, infatti, il sindacato ricorda come “la parola appalti è associata a   inefficienze, ruberie, malaffare e, tragicamente, morte sul lavoro. Come se non bastasse   il contratto a tutele crescenti del Jobs Act, combinato agli sgravi per le nuove assunzioni,   potrebbe abbattersi come una scure, determinando una vera e propria esplosione   di licenziamenti e di nuove assunzioni a ‘monetizzazione crescente’, azzerando diritti   pregressi”.  Il perché di questa campagna della CGIL è “nella piaga rappresentata da questo pezzo di   mondo del lavoro, caratterizzato da cattiva gestione e forme di illegalità che alimentano il   fenomeno della corruzione, determinando una riduzione degli investimenti esteri del 16%   e un aumento del costo complessivo degli appalti stessi del 20%”. Eppure le vere vittime   di queste dinamiche, “sono quei milioni di lavoratori che trasversalmente, dal pubblico al   privato, attraversano tutti i settori, dalle forniture ai servizi passando per le costruzioni”.   Lavoratrici e lavoratori con pochi diritti e scarse tutele, “in particolare sul tema della   responsabilità solidale (ovvero il coinvolgimento di tutti i soggetti che intervengono nel   contratto di appalto – committente, appaltatore e subappaltatore – nel controllo e rispetto   del versante salariale e contributivo dei lavoratori) e della clausola sociale (nota anche   come la tutela del lavoro in caso di cambio di appalto)”. La Cgil stima a livello nazionale   siano oltre 3,5 milioni di persone, “esposte per una vita al precariato, pur essendo per   la gran parte assunte a tempo indeterminato, senza carriere contributive dignitose, con   basse retribuzioni e senza valorizzazione professionale. Perché quello negli appalti è   lavoro povero, intenso, frammentario, faticoso e mal retribuito. Anche perché sugli appalti   si scaricano l’abbattimento dei costi di fornitura e realizzazione di beni e servizi troppo   spesso a danno della qualità delle opere e dei diritti dei lavoratori”.  Sintesi proposta di legge – Questa la fotografia del sistema, qui si inserisce la proposta   della Cgil che, in estrema sintesi, si articola in tre punti:   “1. Affermare una tutela reale dei trattamenti dei lavoratori impiegati negli appalti pubblici   e privati, messi in discussione da almeno tre provvedimenti legislativi in questi ultimi due   anni;  2. Contrastare le pratiche di concorrenza sleale tra le imprese che non solo finiscono per   ripercuotersi pesantemente sulle stesse condizioni di lavoro ma perseguono una logica di   competitività fra imprese fondata sulla prevalenza del principio dei costi in alternativa alla   qualità del lavoro e alle capacità imprenditoriali;  3. Consolidare ed estendere la clausola sociale riferita al mantenimento del posto di lavoro   in caso di cambio di appalto affermando che, laddove cambia la titolarità dell’appalto ma si   è in presenza della continuità del lavoro, è legittimo consolidare la continuità dei rapporti   di lavoro in essere”.   Per realizzare questi tre obiettivi la proposta di legge della Cgil sostiene la necessità di   reintrodurre la responsabilità solidale (come quanto previsto originariamente dalla legge   276 del 2003): il committente dell’appalto deve essere cioè responsabile in solido, entro il   limite dei due anni, del trattamento salariale e contributivo dei lavoratori in appalto in caso   di inadempienza dell’appaltatore. Senza dimenticare che elemento cruciale che qualifica   la proposta di legge è la riduzione drastica delle 30 mila stazioni appaltanti – ovvero quei   soggetti che affidano a terzi, mediante una procedura di appalto, l’esecuzione di lavori   pubblici o la fornitura di beni o servizi – che operano in Italia.  Rapporto Jobs Act e appalti – La sorte dei lavoratori in (e in sub) appalto in tempi   di Jobs Act, fa notare la Cgil, “si aggrava considerevolmente, sul versante lavoro e   ammortizzatori sociali”. Con il superamento dell’articolo 18 e del reintegro in caso di   licenziamento illegittimo, e la sostituzione del contratto a tempo indeterminato con   quello a tutele crescenti, “si disincentivano di fatto le clausole sociali per l’occupazione   nei cambi di appalto e si determina una situazione in cui, anche per lavoratori di lunga   anzianità, vengono meno le tutele avute sino ad ora in materia di licenziamenti”. L’articolo   7 del decreto del Jobs Act sul contratto a tutele crescenti (“Computo dell’anzianità negli   appalti”), inoltre, “si preoccupa di legare alla reale durata del servizio del lavoratore   sull’appalto l’eventuale risarcimento economico, dando per scontato che nelle stazioni   appaltanti non esistano anzianità e diritti acquisiti. Così com’è la norma, nei processi di   subentro negli appalti, si determinerebbe per i lavoratori una discriminazione intollerabile,   in palese contrasto con i diritti maturati e conseguiti da quei lavoratori”. Un primo passo,   come rivendica la Cgil, deve essere il recupero della clausola sociale, nei cambi di appalto,   sostanzialmente superata dall’articolo 7 del contratto a tutele crescenti del Jobs Act, nel   nuovo codice degli appalti. Codice conseguente al recepimento delle Direttive Comunitarie   in materia.  Campagna appalti – La Cgil ha così avviato, a sostegno della raccolta di firme per la   proposta di legge, la campagna ‘Gli appalti sono il nostro lavoro. I diritti non sono   in appalto’.   La Cgil ha poi indetto in tutta Italia per giovedì 19 marzo una giornata nazionale di   raccolta straordinaria di firme.  Banchetti saranno allestiti in diversi luoghi di lavoro, anche per sensibilizzare una   campagna dal forte tratto confederale. Ad Asti avremo raccolta firme nei luoghi di lavoro e anche un  banchetto in Piazza Marconi 26/29 sotto il porticato della Cgil dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 17.