In un periodo flagellato dai tagli alla spesa pubblica – o, per dirla all’inglese, la famigerata Spending Review – guarniti da uno spread ballerino che a tratti sembra far vacillare la posizione del presidente del Consiglio Mario Monti, monta sempre più furente l’onda lunga dell’indignazione popolare per i privilegi riservati alla “casta”, sinonimo coniato dai giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo nel 2007 con il celebre libro “La casta” e con cui s’intende la classe politica italiana.
In siffatto contesto non è passato inosservato il cosiddetto referendum “anticasta” proposto dal partito Unione Popolare guidato da Maria Di Prato, che dal maggio scorso sta raccogliendo le firme per abolire la diaria dei parlamentari italiani.
Le modalità del taglio agli “stipendi d’oro”, però, non convincono la stragrande maggioranza degli osservatori, e le critiche più feroci giungono proprio dai soggetti che da anni fanno della questione uno dei cavalli di battaglia, come il MoVimento 5 Stelle, che definisce senza appelli il referendum una “bufala”.
Perché? Innanzitutto la riduzione dei compensi parlamentari è già compresa nel decreto legge firmato nel luglio scorso e quindi i 400 milioni di euro (costo stimato per la consultazione referendaria) risulterebbero un controverso quanto ingiustificato esborso di denaro pubblico. Inoltre c’è un fattore temporale di non secondaria importanza: nonostante le oltre 200 mila firme già raccolte in appena due mesi, le elezioni politiche sono alle porte (se si voterà nella primavera del 2013) e la legge non permette l’indizione di un referendum nell’anno precedente alla scadenza di una delle due Camere. Il risultato è che le firme potranno essere consegnate solo a gennaio 2013 e nel caso, quindi, la prima data utile per la raccolta è fissata a 90 giorni prima, ossia il 6 ottobre 2012. Il risultato è che tutte le firme raccolte fino ad oggi rischierebbero di trasformarsi in mera carta straccia.
La sforbiciata rivoluzionaria potrebbe rivelarsi alla fine un bizzarro quanto populistico tentativo per attirare consensi e null’altro.
Anche i politici astigiani hanno voluto prendere posizione in merito alla questione.
Sabato scorso il parlamentare canellese Roberto Marmo ha apposto la sua firma per il taglio agli stipendi parlamentari, e a chi gli sottolineava che il suo gesto potesse apparire come uno sparigliamento populista o un “suicidio politico” ha risposto perentoriamente: «Ma quale suicidio politico! Ma quale sparigliamento! Io parlamentare da poco più di un anno ho firmato il referendum che vuole diminuire lo stipendio dei parlamentari per un senso di coerenza. Ho sempre ritenuto un dovere morale, prima che gestionale, il buon uso dei denari pubblici. Da presidente della Provincia di Asti – ha ricordato inoltre Marmo – tagliai lo stipendio della giunta del dieci per cento e lo feci in tempi non sospetti, con la crisi economica ancora da venire. Ora che la situazione è drammatica mi sembra opportuno che si torni all’etica della politica al servizio dei cittadini e non delle tasche di chi la fa”.
L’iniziativa di Marmo è stata cassata senza appello dal segretario dell’Associazione Radicale “Adelaide Aglietta” Salvatore Grizzanti: “La firma di Roberto Marmo al referendum patacca anti casta è quanto di più ipocrita e di basso livello politico ci si potesse aspettare: i parlamentari sanno bene che quel referendum non cambierà alcunché anzi quel referendum non ci sarà mai”.
Le ragioni addotte da Grizzanti si rifanno alla vigente normativa legislativa: “Dato il voto politico che terremo nel 2013, tutte le firme depositate nel 2012 sono letteralmente carta straccia come ben evidenziato dall’art. 31 della legge 352 del 1970. Come accadde nel 2008 a Grillo che non ascoltò l’allarme dei Radicali anche in questo caso quei moduli andranno al macero e per i firmatari ci sarà oltre il danno la beffa”.
Le critiche al referendum piovono anche dal centro destra e la posizione di Franco Ingrasci, consigliere comunale in quota Pdl, ne sono una prova: “E’ chiaro che le firme già raccolte non sono valide e quindi utilizzabili. Solo dal 1° gennaio 2013 si possono depositare firme valide ai fini referendari, quindi, si dovrebbe procedere alla raccolta di queste firme dopo il 1° ottobre 2012. Si può anche peccare di malafede, ma credo che lo scopo di questa raccolta di firme sia abbastanza chiara. Da un lato un gran ritorno pubblicitario per il movimento che lo ha proposto, l’Unione popolare, dall’altro la possibilità di avere un ritorno economico.
“Una gran presa in giro – conclude Ingrasci – sfruttando cinicamente il forte sentimento anticasta che gira nel paese”.

Fabio Ruffinengo