Quattrocento anziani, quattrocento famiglie che si stanno domandando cosa fare. E duecento dipendenti nelle stesse condizioni. Quella della Casa di Riposo Città di Asti rischia, per dirla con le parole di don Luigi Berzano, membro del comitato scientifico che opera all’interno della struttura, “di trasformarsi in una brutta telenovela”. Il nodo della questione ruota attorno alla nomina di un commissario, dopo che il nome indicato dagli enti preposti, quello di Mariangela Cotto, è stato respinto dalla Regione in base a un decreto del 2013 in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le  pubbliche  amministrazioni  e presso  gli  enti privati in controllo pubblico. “Se anche in sede regionale si superasse l’ostacolo, sul nome di Mariangela Cotto le opposizioni non garantirebbero l’accordo necessario per governare l’ente con tranquillità. Oggi la Casa di Riposo ha un passivo stimato in un milione e mezzo di euro circa. La direzione ha già in atto degli interventi per riassorbire il passivo ma serve un commissario per andare avanti, ed è questione di giorni perché ci sono delle scadenze immediate a cui far fronte. La prolungata afasia delle istituzioni stupisce fa pensare che ci siano interessi di altro genere in gioco”. “La Casa di Riposo – continua don Berzano – rappresenta anche un pezzo di storia astigiana, della nostra migliore tradizione solidaristica in una città che ha già perso pezzi importanti della sua economia, della sua cultura e di presidi dello stato centrale. Non vogliamo fare allarmismo, ma dare voce a questa problematica e interrogarci sull’afasia delle istituzioni”. Da parte del comitato scientifico, che anima su base volontaristica una intensa attività culturale all’interno della struttura, non sono stati proposti nomi alternativi a quello della Cotto. “Tuttavia – ha spiegato don Berzano – già oggi ci sono molti professionisti che stanno lavorando come consulenti per la Casa di Riposo, stimati avvocati che hanno i requisiti necessari per la nomina e conoscono la situazione. Lo spettro della privatizzazione ci spaventa: oggi l’istituto risponde bene a una serie di bisogni degli anziani, anche di socializzazione. Domani potrebbe non essere la stessa cosa”.