Un immigrato ogni 12 residenti: i dati statistici attestano che ci si trova di fronte a un fenomeno consistente ed essenziale allo sviluppo del Paese, nella cui agenda va inserito come questione prioritaria. Anche se di “fenomeno” non vorrebbe più sentir parlare Roberta Ricucci, sociologa dell’Università di Torino che ieri ha presentato ad Asti insieme a Beppe Amico il XX Dossier sull’Immigrazione.
“Perché è ormai un fattore strutturale della nostra società – ha spiegato Ricucci – per dimensioni e continuità non può più essere considerato un semplice fenomeno bensì una realtà da trattare con politiche adeguate e non episodiche”.

Il Dossier statistico Immigrazione Caritas-Migrantes analizza il dato migratorio in Italia fin dal 1990, anno in cui a seguito di un provvedimento di regolarizzazione venne superata la soglia del mezzo milione di presenze. In questi 20 anni la popolazione immigrata è cresciuta di quasi 20 volte, arrivando a sfiorare i 5 milioni di persone.
Ma mentre il bisogno di emigrare di alcuni popoli cresce, la sensibilità degli italiani nei confronti del problema si assottiglia e l’apertura mostrata al tempo delle prime leggi sull’immigrazione oggi cede il passo alla diffidenza con il risultato che gli immigrati sono sempre più spesso ritenuti un problema più che un’opportunità.

La dimensione multiculturale in Italia è ormai un vero e proprio dato di fatto: circa 250mila matrimoni misti, più di mezzo milione di persone che hanno acquisito la cittadinanza al ritmo di oltre 50mila l’anno, oltre 570mila stranieri nati in Italia, quasi 100mila figli di madre straniera ogni anno, più di 100mila ingressi annuali per ricongiungimenti familiari.
Piccole, medie, grandi collettività: i Romeni con poco più di un milione di presenze sono i più numerosi. Seguono Albanesi e Marocchini (500mila), 200mila di Cinesi e Ucraini.
Alcuni gruppi si sono insediati prevalentemente nelle città (Flilippini, Peruviani, Ecuadoriani); altri hanno preferito la provincia (Indiani, Marocchini, Albanesi).
In un’Italia alle prese con un elevato ritmo di invecchiamento, dove gli ultrasessantacinquenni superano i quindicenni, l’apporto degli immigrati diventa un sostegno allo sviluppo demografico ed economico.

Oggi contribuiscono al Pil del  Paese per l’11,1% e a livello occupazionale risolvono il problema della carenza di manodopera specie in alcuni settori come l’assistenza alle famiglie e alle persone, l’edilizia, l’agricoltura, i servizi, l’infermieristica. Attualmente i lavoratori immigrati sono circa due milioni e nel settore pensionistico apportano un contributo di 7 miliardi e mezzo di contributi previdenziali, pur essendo per lo più distanti dall’età pensionabile.

Imprimono grande vitalità al sistema produttivo occupazionale italiano: sono circa  400mila gli stranieri tra titolari d’impresa, amministratori e soci di aziende, con imprese in crescita anche in periodo di crisi.
Ogni 30 imprenditori operanti in Italia uno è immigrato.
I migranti versano più in tasse di quanto prendano in servizi e assistenza.
Secondo Eurostat una politica a immigrazione zero porterebbe l’Italia in 50 anni a perdere un sesto della sua popolazione, la più giovane.

Le migrazioni rappresentano la più antica azione di contrasto alla povertà: selezionano chi desidera riscattarsi e aiutano a rompere l’equilibrio di povertà nei luoghi di origine: le migrazioni sono un effetto della disuguale distribuzione di risorse nel pianeta e un ponte verso le aree d’origine dei migranti.