“Non possiamo rimanere insensibili di fronte alla vicenda del dottor Djalali, un professionista che per anni ha lavorato per la sanità piemontese, stimato e apprezzato da tutti i colleghi – sottolinea l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta -. Come Regione Piemonte chiediamo quindi l’immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione e sollecitiamo il Governo e l’Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane”.   Ahmadreza Djalali, medico iraniano di 45 anni e con un dottorato di ricerca conseguito al Karolinska Institutet di Stoccolma, per quattro anni ha lavorato a Novara, all’Università del Piemonte Orientale, come ricercatore capo al Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi. Ora è stato condannato a morte dai giudici di Teheran.   Le autorità iraniane lo accusano di essere una spia. La sua unica colpa accertata è quella di aver collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono flagellati da guerre e disastri naturali, assicurano i medici che hanno lavorato con lui e che adesso hanno lanciato un appello per ottenere la sua liberazione, a cominciare da Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu.   Sposato e con due bambini di 6 e 14 anni, il dottor Djalali si recava periodicamente in Iran. Nel corso della sua ultima visita, ad aprile dello scorso anno, è stato arrestato e mantenuto in assoluto isolamento nella prigione di Evin a Teheran, senza poter comunicare con la moglie o con il suo avvocato per mesi e senza nemmeno sapere il motivo del suo arresto. Quando è venuto a conoscenza delle accuse ha iniziato uno sciopero della fame, ma senza risultato. È anzi stato obbligato a firmare una confessione di colpevolezza.