E’ stato il primo appuntamento, domenica pomeriggio, di un Passepartout iniziato sotto la pioggia ma immediatamente accolto da un pubblico affezionato ed entusiasta. Padre Bianchi fa spesso quest’effetto: lo si ascolta sapendo di ritrovare, ben verbalizzati e riordinati, molti dei propri pensieri disorganizzati e delle proprie impressioni sparse. Al giro dei 100 giorni del pontificato di Papa Francesco Enzo Bianchi nota come l’evocazione del nome stesso del Papa dia quasi sempre serenità, accenda la gioia sia in chi la pronuncia che in chi l’ascolta. Un po’ com’era stato per Giovanni XXIII. Segno che la Chiesa cattolica sta cambiando, di un nuovo respiro, di un mutamento “innegabile”, dice padre Bianchi, che in molti temono possa suonare come una critica al pontificato di Benedetto XVI, ma che critica non è: la continuità è nella fede, ma gli stili devono essere differenti come lo sono i doni del Signore. “Il ministero di Pietro – ha spiegato il priore di Bose –  è identico nel contenuto ma le forme mutano sempre, anche nell’ottica di una più forte comunione tra le diverse Chiese”. E il soffio della “primavera” portato da Papa Francesco si nota nello stile della sua vita quotidiana, nel modo di insegnare, nella promessa della riforma dell’esercizio del ministero papale e della curia romana: Jorge Mario Bergoglio vive come prima, vive da vescovo, in questo modo sta cambiando il papato. Lo fa nella sua preghiera, nel suo modo di stare in mezzo al popolo di Dio con semplicità, nel suo atteggiamento di ascolto verso coloro dei quali ha la responsabilità come pastore. Lo fa consultandosi e prendendo decisioni condivise, eventualmente ammonendo e richiamando ma mai condannando. Pare che, a conti fatti, sia cambiata la vita della Chiesa ma non quella dell’arcivescovo Bergoglio. “Il palazzo non può essere la sua dimora – ha detto ancora padre Bianchi – perché nella sua scelta di povertà il Papa non ha mai saputo abitare i palazzi, che diventano un diaframma rispetto alla quotidianità, mentre lui vuole vivere “in medio ecclesiae”. E i suoi gesti parlano tutti di questa nuova primavera, riconosciuta da più parti, da Loris Capovilla a Massimo Cacciari al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Il papa ha abbandonato la croce gemmata per una in ferro, veste sobriamente, si sposta in autobus, a Santa Marta mangia in mezzo agli altri, a volte cercando un posto libero perché non ne ha uno riservato. E’ un fratello tra i fratelli. E’ il suo stesso corpo: si batte la fronte, bacia i malati, sta in piedi durante l’omelia. Non smette mai di aderire alla realtà”. E ancora: le parole di  Bergoglio, secondo Enzo Bianchi, rivelano delle profonde intenzioni: “Statisticamente, nel lessico di Papa Francesco una parola assai ricorrente è “gioia”, pronunciata oltre cento volte. Poi “misericordia” e “perdono”, con 150 ricorrenze in questi 85 giorni di pontificato. E “povero”, “povertà”, oltre 50 volte. Il Papa vuole una Chiesa in movimento, che abbia l’audacia di uscire da se stessa, di ritrovare il coraggio apostolico che le consenta di andare verso le periferie, incontro alle vittime del pensiero debole. Chi non cammina per non sbagliare commette uno sbaglio ancora più grave: “Preferisco una Chiesa incidentata a una Chiesa ammalata per chiusura” ha detto Bergoglio”. Insomma, il Papa a cui la nonna monferrina impartiva da bambino il comandamento dell’ “esageruma nen” è secondo Bianchi il Papa che ci “ci fa sognare” il sogno di una piena realizzazione del Concilio Vaticano II, il sogno di una Chiesa sobria, il sogno di una Chiesa con strutture di comunione, il sogno di una Chiesa sinodale in cui finalmente camminino insieme Papa, vescovi e popolo di Dio. Oggi alle 16,30 tavola rotonda organizzata dal nostro giornale a commento dell’intervento di padre Bianchi: appuntamento per tutti al palazzo del Collegio. Marianna Natale