E’ una battaglia postmoderna, quella portata avanti in questi mesi da Coldiretti. La tutela del diritto al lavoro e la lotta alle condizioni economiche migliori dei lavoratori, non sono solo una prerogativa unica dei sindacati dei dipendenti, in contrapposizione ai datori di lavoro, ma anche di chi tutela gli imprenditori agricoli. Gli agricoltori, non hanno un padrone, ma si vedono erodere sempre più il valore delle proprie produzioni e la conseguenza è che si pagano a malapena i costi produttivi e non gli rimane più nulla per retribuire il proprio lavoro. Per Coldiretti, in molti casi, è diventata una questione di dignità del lavoratore: come si può, nella moderna Europa e nel ventunesimo secolo, lavorare per nulla? Sembra impossibile, ma è veramente così. E’ il caso della filiera del latte, o lattiero casearia, o latteindustriale, chiamatela come volete. Un litro di latte viene pagato dalle industrie di trasformazione, nelle migliori delle ipotesi, 35 centesimi. Facendo un conto economico, sono sufficienti a pagare le spese per la gestione dell’impresa agricola e rimane un margine così risicato che in molti casi non resta nulla per retribuire la manodopera impiegata. Oggi gli allevatori di Coldiretti manifestano in Friuli, di fronte alla porta di ingresso in Italia di centinaia di milioni di chili di latte straniero.  Il giorno di Pasquetta, sono scesi in città, nel centro di Torino, per esporre, a tutti i consumatori e a tutta l’opinione pubblica, compresi gli industriali e i politici, i motivi di questa battaglia. L’hanno fatto con la consueta signorilità, offrendo latte, yogurt e tomini. L’hanno definito un merendino al contrario, praticamente un modo per evidenziare il valore delle loro produzioni, in questo caso del latte. E i consumatori si sono così uniti agli agricoltori, sottolineando come i costi degli alimenti siano in continuo aumento. Nonostante questo, molte industrie di trasformazione del latte hanno disdettato gli accordi di fornitura con gli allevatori. E malgrado questo, molte industrie si apprestano a chiedere alla Regione Piemonte i contributi del Piano di Sviluppo Rurale per pagarsi i macchinari per la trasformazione del latte. La pretesa degli allevatori, ed anche dei i consumatori, è che la Regione non conceda più contributi agli industriali che non si approvvigionano nelle stalle locali e che non indicano la provenienza del latte nelle etichette di tutti i prodotti trasformati. Gli agricoltori non guadagnano, i consumatori spendono troppo. E allora qualcuno guadagna eccessivamente, denuncia Coldiretti. Conti alla mano, nel caso del latte, basta prendere l’elenco dei coefficienti di trasformazione latte/formaggi, pubblicato con un decreto del Ministero delle Politiche Agricole. Il caso più eclatante è quello dello yogurt. Con 1,12 litri di latte si produce un chilogrammo di yogurt. Se andiamo in un supermercato e compriamo la confezione da quattro, quella con maggiore convenienza, tipo Yogurt Mio della Nestlè (ogni vasetto contiene 100 grammi di prodotto), la paghiamo 2,25 euro. Vale a dire 5,625 euro al chilogrammo. Applicando il coefficiente di trasformazione del Ministero, di questi soldi all’allevatore vanno la miseria 0,392 euro. E per pagare ancora qualche centesimo in meno il latte impiegato per produrre lo yogurt, molte industrie hanno deciso di comprarlo all’estero (in Italia sono già state chiuse 1000 stalle). Da notare come in molti casi vengono poi impiegati surrogati del latte e in altri casi vengono perpetrati furti di immagine al nostro territorio con i famosi prodotti italian sounding che fanno riferimenti onomatopeici a prodotti nazionali ma sono prodotti completamente con prodotti stranieri. La battaglia per il giusto prezzo di Coldiretti, non si restringe al solo settore lattiero caseario. In Italia, problemi analoghi hanno i produttori di olive con l’olio, quelli di arance con i succhi e anche i produttori di pomodori con le conserve. In pratica, non solo non guadagnano, ma rischiano di perdere il lavoro, di abbandonare i campi. Per il vino, e nello specifico la Barbera, Coldiretti Asti ha ideato un algoritmo per individuare il valore minimo. “Sì – sottolinea il presidente, Roberto Cabiale – lo abbiamo fatto quando abbiamo trovato in un supermercato una bottiglia di Barbera d’Asti Docg ad un prezzo impossibile. C’è un limite oltre il quale non conviene produrre e oltrepassarlo significa non poter più coltivare la vigna. E dismettere la vigna vuol dire sfregiare le colline del territorio Unesco. Ora, con l’Algoritmo siamo in grado di capire tutte le distorsioni del mercato e di individuare chi fa il furbo lungo la filiera e guadagna sottraendo valore a chi lavora. Il caso non è dissimile da quello del latte. Si tratta di dare il giusto valore ai prodotti e in proporzione all’attività dell’agricoltore”. Anche per i cereali è crisi profonda e la filiera non riesce ancora a dare il giusto valore al prodotto primario. Eppure se si considerano i tanti prodotti tipici trasformati, ad esempio dell’Astigiano, o del territorio delle Colline Unesco di Langhe-Roero e Monferrato, non è spiegabile come un cerealicoltore non riesca a sbarcare il lunario. Pane, grissini, torte e dolci di ogni genere fanno quasi sempre riferimento a questi territori, facendo la fortuna delle industrie da forno e dei commercianti, ma l’unico a non guadagnare è sempre l’agricoltore. “In questo caso – sottolinea Cabiale – non serve l’Algoritmo per individuare il giusto valore, basterebbe una semplice equazione: rapportare il valore dei prodotti trasformati con quanto vale il nostro grano. E’ palese che non sono ancora ben definite alcune incognite. La prima variabile ancora impazzita, è l’indicazione, in etichetta, della reale provenienza dei prodotti impiegati”. Che la battaglia di Coldiretti sia postmoderna, quindi, lo si vede dal superamento di tutte le teorie sul plusvalore. L’imprenditore agricolo non guadagna, ma c’è chi ci guadagna più di una, di due o anche di tre volte, e senza pagare chi effettivamente lavora.