monica larnerCi sono cantine in Italia come biblioteche, dove è possibile scovare negli archivi aziendali i tratti stilistici, la storia e l’evoluzione di un grande vino e delle aziende stesse: ecco il patrimonio delle vecchie annate che alcune griffe del made in Italy in bottiglia già coltivano come merita. Un giacimento valoriale insostituibile quello rappresentato da queste speciali bottiglie, conservate da alcune cantine del Bel Paese, capaci di raccontare un mondo in evoluzione oltre che rappresentare vere e proprie testimonianze del peso del brand che portano. Anche di questo si parlerà a Vinitaly 2014, la rassegna internazionale di riferimento del mondo del vino e dei distillati, a Verona dal 6 al 9 aprile (www.vinitaly.com). Soprattutto perché, da più parti, e in particolare dal mondo della critica enologica internazionale e di una parte di mercato, il messaggio arriva forte e chiaro: anche l’Italia in bottiglia deve iniziare a puntare in modo convito sulle vecchie annate, costruendo scorte significative dal punto di vista della qualità e dei volumi, al contrario di quanto avvenuto fino ad oggi, eccezion fatta per alcuni casi virtuosi, ma spesso isolati. «Quello di costruire una “biblioteca” – spiega Monica Larner, firma dall’Italia di “The Wine Advocate” – è fondamentale per raccontare anche all’estero la capacita dell’Italia di produrre vini di grande longevità, che esiste, ma che di fatto non è raccontata. È importantissimo. Certo, tante cantine sono piccole, ma anche queste possono riuscire a tenere da parte 2-300 bottiglie ad annata». Un apporto necessario per raccontare una storia, costruire e rafforzare un brand, e non ultimo, perché una parte del mercato richiede questo particolare modo di presentare un’azienda. Un formidabile strumento di comunicazione dunque, nel quale i francesi fanno ancora una volta scuola. Basta vedere i lotti delle grandi aste internazionali, dove facilmente si incontrano annate precedenti al 1965-70 di Bordeaux, Borgogna e Champagne, che puntualmente spuntano le migliori quotazioni. Ma anche come molti dei top brand transalpini si presentano al mondo, con degustazioni verticali di grande profondità d’annata e, spesso, portando in assaggio le bottiglie forse più valide per questi grandi eventi: le Magnum. I grandi vini da invecchiamento e le vecchie annate sono senza dubbio i soli protagonisti capaci di alimentare il sogno e di costruire il mito del vino immortale. Purtroppo, per tanti motivi, questa suggestione viene accesa di rado dai vini italiani, eccezion fatta per un pugno di etichette di Barolo e Brunello di Montalcino e qualche sparuto Supertuscan. Eppure, sono molti i territori del Bel Paese in bottiglia dalla storia enoica secolare alle spalle. Ma le piccole dimensioni e i volumi di produzione ridotti di molte cantine, anche blasonate, hanno spesso rappresentato un ostacolo non secondario alla costruzione di queste “biblioteche”. Non tanto, quindi, perché non ci siano vini italiani con grandi capacità di invecchiamento, ma perché culturalmente, la maggioranza dei produttori ha sempre pensato a vendere il più possibile, magari ad esaurire la produzione, trascurando di fare una scorta di cantina significativa, anche nei numeri di vecchie annate, che non solo possono diventare, come accade, pezzi da collezione, sigillo del brand o vero e proprio mito, ma anche un “database” storico della produzione dell’azienda stessa, dove il critico, prima di tutti, può ricostruire la storia, l’evoluzione di un territorio, lo sviluppo stilistico dell’azienda, le molteplici sfaccettature e sfumature che determinano la differenza fra un buon vino e un grande vino. Non infrequente scovare qualche produttore italiano “lluminato” a ricomprare le proprie etichette di annate più vecchie, quando riesce a trovarle. Segno questo di una sensibilità aumentata proprio fra gli stessi vignaioli, ormai consapevoli dell’importanza di un archivio della propria produzione. Perché un archivio ben fatto delle vecchie annate prodotte rappresenta per un’azienda un potente veicolo di accrescimento della propria immagine. Non solo, evidentemente, rendendo possibile una ricostruzione tangibile della storia aziendale, ma anche proponendo, qualora l’azienda abbia già compreso l’importanza di questa operazione, quell’attenzione e quel rigore che ci si aspetta soltanto dai marchi più importanti. In questo senso, seppure con un vantaggio temporale notevole, la produzione di Bordeaux piuttosto che della Borgogna rappresentano un modello di riferimento. Da non sottovalutare, infine, nel caso dei territori più importanti e dei marchi più noti, il valore, in questo caso decisamente monetario, delle vecchie annate sul mercato secondario. Una nicchia, d’accordo, ma dove, l’interesse per la produzione enoica italiana è costantemente in crescita (a testimoniarlo non solo una casa d’aste come la londinese Sotheby’s ma anche il Liv-ex, il principale indice specializzato nella misurazione delle fluttuazioni dei vini di tutto il mondo proprio sul mercato secondario) e non sembra conoscere crisi.