Prima di andare a casa, o a metà giornata mentre facevamo la pausa caffè in redazione, nei mesi scorsi, capitava che Elena si collegasse per qualche istante al blog di suo fratello e ci mostrasse gli ultimi scatti. Dalle Canarie attraverso l’oceano Atlantico fino al mar dei Caraibi, poi Panama, le Galapagos, la Polinesia, l’Australia: mese dopo mese seguivamo con incanto crescente il viaggio di Maurizio Ferrato, architetto astigiano trentaquattrenne che, nel novembre del 2008, ha deciso di lasciare tutto e partire.
Partire davvero, però. Non in vacanza, non per un periodo di ferie: Maurizio ha scelto di fare il giro del mondo in barca a vela.
Decisione coraggiosa per chiunque, ma soprattutto per chi, come lui, non possiede una barca.
Il primo passaggio Maurizio l’ha trovato a Tenerife: con l’equipaggio del catamarano Ola Kala, dopo aver disegnato il tradizionale murales pre traversata, “Mao” ha affrontato l’Atlantico ascoltando Giorgio e Paolo Conte e Gianmaria Testa. Dopo tre settimane di navigazione, il 21 dicembre 2008 una foto sul suo blog documenta  un’alba lattiginosa che l’accoglie all’arrivo in Martinica.

Come ha deciso di affrontare questa impresa?
“Con grande incoscienza, principalmente.  Era un progetto che avevo in mente da tempo, quando mi è sembrato che fosse arrivato il momento giusto ho tagliato tutti i ponti, ho salutato amici e famiglia e sono partito. La cosa più difficile è stata iniziare, il resto è venuto da sé”.

Avventura, divertimento, ma anche tanto lavoro.
“In barca si devono condividere spazi molto ristretti e un’organizzazione ferrea: si seguono dei turni precisi, ognuno ha la sua mansione, non c’è spazio per la privacy. Se si ha un momento di difficoltà non ci si può allontanare un attimo per calmarsi. Una situazione che ho vissuto con disagio sulla seconda barca, di un proprietario neozelandese, quella con cui dalle Grenadine mi sono spostato fino a Panama e poi ho attraversato il Pacifico diretto alle isole Marchesi. Cinque mesi insieme”.

Quante fotografie si scattano in tredici mesi di viaggio?
“Io ne ho fatte undicimila. Appena potevo ne caricavo qualcuna sul blog, che è stato uno strumento utilissimo per restare in contatto con la famiglia e gli amici e un diario”.

11 gennaio 2010

 

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In un altrodove, Sergio Ponchione inaugura questo mese un ciclo di short stories, dopo aver attirato l’attenzione di molti con i volumi ambientati nel suo mondo Grotesque, pubblicati dalla benemerita Coconino Press. Sergio non è solo un talento grafico raro. Ci piace davvero molto la sua visione artistica: il vero senso delle cose sta nel grottesco, nel bizzarro; così, bisogna guardare al mondo attraverso una lente deformante, se si vuole capirlo. Niente di più attuale. Che il primo dei suoi racconti linusiani arrivi nelle edicole a pochi giorni dal premio assegnatogli per il Miglior fumetto seriale al festival di Lucca, ci pare una gran bella coincidenza. Ammesso che le coincidenze esistano, nel mondo obliquo“.

Sta tutto in queste parole di Stefania Rumor l’entusiasmante momento che caratterizza questa fase lavorativa di Sergio Ponchione, giovane artista astigiano che ha conquistato questo mese la copertina della più longeva e accreditata rivista di fumetti nazionale: in 44 anni, fra le sue pagine hanno trovato spazio fra gli altri Segar, Crumb, Eisner, Wood, Spiegelman, Scòzzari, Pazienza.

“Ero un lettore saltuario di Linus – racconta Ponchione – ma da quando collaboro con loro, dal numero del giugno scorso, sono diventato più costante. La copertina del numero di novembre mi è stata affidata perché ho curato una storia di cinque pagine dedicata al professor Hackensack, cervellotico e barbuto contraltare dell’Obliquo, in uno spin-off rispetto a Grotesque”.

“La grottesca ossessione del professor Hackensack”, questo è il titolo dell’episodio che apre la triade.  Di cosa parla questa prima storia per Linus?

“E’ una piccola biografia di Hackensack, il prequel ideale per il volume Obliquomo: da dove nasce la sua ossessione per il grottesco e il bizzarro, quale strano destino l’ha condotto all’incontro con l’Obliquo”.

I prossimi episodi compariranno sui numeri di gennaio e marzo 2010 per apparecchiare la tavola al quarto e ultimo Grotesque coconinico che sarà presentato a Comicon, festival internazionale del fumetto di Napoli ad aprile.  E intanto, a Lucca, è arrivato il Gran Guinigi. Decisamente un momento d’oro.

“Si tratta di un ottimo momento: il premio di Lucca era inaspettato, ma la coincidenza è stata perfetta. Avevo in programma una capatina il sabato in giornata, a salutare gli amici, invece una telefonata dall’organizzazione ha cambiato tutto. “Sarebbe bene fossi presente alla premiazione il giovedì sera” . Ho intuito al volo”.

19 novembre 2009

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Mario Calabresi è da aprile il nuovo direttore de La Stampa e domenica 14 giugno a Passepartout ha scambiato alcune battute con la Gazzetta.
Direttore, lei è figlio di Luigi Calabresi, il Commissario di polizia ucciso nel 1972 a Milano da un commando di Lotta Continua. Quale ricordo ha di quei momenti?

“Avevo poco più di due anni ma ho un ricordo netto, preciso, dettagliato, di quel mattino di maggio, quando hanno ucciso mio padre. E, dai discorsi di mia madre, dai suoi ricordi e dalle sue confidenze, ho poi appreso che i miei genitori si preparavano da tempo a un evento tragico, previsto e annunciato. Perché la morte di papà non fu inaspettata e fu preceduta da minacciose e ingiuriose scritte sui muri, da lettere anonime con insulti e minacce di morte, da attacchi pubblici di molti intellettuali della sinistra extraparlamentare”.

L’esistenza della sua famiglia e delle altre, vittime del terrorismo, come proseguì?

“Si può rimanere alla deriva per anni, o per tutta la vita. Molte delle persone colpite dai terroristi lo raccontano con lucidità: il dolore e la rabbia ci hanno inchiodato a quell’attimo. C’è chi non ha più avuto la forza di ripartire o di sopportare la disattenzione pubblica e l’oblio collettivo. E c’è chi ha sempre lottato affinché fosse rispettata la memoria dell’ucciso, come nel caso della mia famiglia. Ancor oggi ho nitido quel che dissero mia madre e altre vedove degli anni di piombo: i terroristi hanno colpito le nostre famiglie ma non sono riusciti a toglierci la forza di vivere”.
Come ricorda suo padre?

“Mi sono impegnato a voltar pagina nel rispetto della memoria ma il suo ricordo lo porto con me sempre, ovunque io vada”.
Guido Gabbio

18 giugno 2009

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Il festival delle Donne Artiste Latine si è svolto a Parigi dall’8 al 15 marzo con spettacoli, mostre, performances di danza e sonore.
Questa prima edizione di una rassegna in cui tutte le artiste (attrici, pittrici, musiciste, danzatrici) erano donne, si è tenuta al Teatro dell’ Epée de Bois, luogo storico dell’avanguardia e della sperimentazione francese.
L’astigiano Franco Rabino grazie all’attrice Valeria Dafarra, ha presentato in quest’occasone un proprio testo, Sofia, applauditissimo e già richiesto da altre attrici straniere. Con lui parliamo di questa esperienza.

Dalla fotografia come professione alle incursioni nella drammaturgia…

“Non sono incursioni vere e proprie. La fotografia e la drammaturgia teatrale  sono due dei miei modi (ce ne sono altri, ma più personali) dello stare nel mondo. l’una e l’altra – con strumenti diversi – mi consentono di guardare per comprendere, di mettere a fuoco, se così vogliamo dire, quello che mi circonda. E questo intorno qualche volta mi piace ma il più delle volte no. Proseguo nella drammaturgia, nella scrittura teatrale, quello che a volte chiudo in uno scatto. La fotografia spesso non basta, spesso occorrono parole da accordare su una voce per dare più forza a qualche concetto che mi interessa approfondire. Comunque la parte visiva, l’inquadratura in cui disegno l’azione dei personaggi, è importantissima nelle mie messe in scena ed è sempre presente anche se stilizzata fino all’estremo. L’amore per il teatro arriva da lontano. Nella prima infanzia mi divertivo molto ad inventare storie con un teatro di burattini che mi era stato regalato. Poi negli anni ottanta ho fatto un’esperienza professionale con il Teatro del Magopovero durata quasi tre anni. In seguito sono venute le organizzazioni di rassegne per quasi dieci anni; DALLA TERRA ALLA LUNA e DAVIDE e  in quel periodo, a fasi molto alterne, sono anche riuscito a scrivere qualcosa. Finita l’esperienza dei festival e delle rassegne ho potuto di nuovo concentrarmi  a tempo pieno sulla scrittura. Così sono nate LA CONTA DELLA GUERRA, CONNIE e, in ultimo, SOFIA”.

Quali sono le specificità di Sofia?

“SOFIA è un testo che è nato espressamente per il Festival delle DONNE ARTISTE LATINE; mi è stato richiesto un testo ex-novo dopo che il collettivo di lettura del festival aveva letto CONNIE, giudicato estremamente interessante ma troppo lungo per i tempi a disposizione delle singole opere (massimo mezz’ora). Racconta una storia all’apparenza banale; cosa pensa una prostituta lungo i viali di una qualsiasi grande città d’Europa? E’ davvero felice di essere lì? Nel dipanarsi del racconto scopriamo che, probabilmente, viene da un qualche paese del sud del Mediterraneo,  che è stata venduta dal padre quando era bambina e che il compratore era tutt’altro che uno sposo modello. Una storia di miseria, di violenza e di vita grama nei bassifondi e nelle periferie del ricco occidente. Lo stesso occidente che si sta sempre più blindando contro l’invasione dei poveri di ogni dove, dei disperati in fuga dalla fame, dalla miseria e dalle guerre finanziate da noi. Ho scritto il testo in versi perché l’apparente musicalità delle parole, l’incrociarsi delle rime, creava una sensazione ancora più gelida e straziante intorno al racconto della vita di Sofia. A tutto questo ha dato corpo e voce e forza drammatica Valeria Dafarra, un’attrice astigiana che risiede a Parigi e con cui avevo già lavorato nella CONTA DELLA GUERRA. Ha creato un personaggio straordinario ed è riuscito a veicolare un testo di grande difficoltà. Abbiamo imbastito il tutto senza vederci direttamente, utilizzando Skype per le prove e gli aggiustamenti a distanza. L’unica e ultima prova faccia a faccia l’abbiamo fatta il 12 marzo, il giorno prima di andare in scena.
L’esperienza parigina stimola qualche riflessione sul teatro di casa nostra?
“Ci sarebbero molte cose da evidenziare e da utilizzare per una riflessione sul teatro e sui festival ma porterebbero via troppo spazio. Mi limito a dire che anche in questo settore l’Italia è distante anni luce dalle vie che si stanno intraprendendo in Europa. Noi dibattiamo fino all’estenuazione di Budget, di direttori artistici (sempre amici, figli o nipoti di qualcuno) dei festival come traino per il turismo e amenità del genere. Tutto questo altrove non avviene più. Nei territori di frontiera, che sono i più interessanti, un budget “penalizzato” come viene descritto quello dell’Astiteatro a venire servirebbe ad organizzarne cinque di festival con presenze da almeno due continenti. Noi siamo vecchi, lenti, spreconi e noiosi e il nuovo per noi se non costa almeno cinquantamila euro non ha valore. Non a caso i nostri pochi attori realmente bravi, non quelli che si formano a CENTOVETRINE, vanno all’estero, non a caso le nostre drammaturgie teatrali assomigliano più a sceneggiature per fictions che a testi veri e propri”.

21 marzo 2009

 

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La Consigliera di Parità è una figura istituzionale che tutela la posizione lavorativa delle donne incidendo sulle situazioni che sono di ostacolo alla realizzazione della piena parità uomo-donna sul lavoro. Ad Asti, il ruolo è ricoperto da Gloria Ruffa, nominata con decreto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero per le Pari Opportunità.  Questa figura svolge un ruolo fondamentale per la promozione dell’occupazione femminile, attraverso la prevenzione e la lotta alle discriminazioni nell’accesso al lavoro e nei luoghi di lavoro. Riveste una funzione di tutela da un lato, di promozione attiva dall’altro.

Che tipo di situazioni si trova ad affrontare giorno dopo giorno?

“In realtà la mia attività si svolge su situazioni diverse ma che potrei riassumere con richieste di informazioni sui congedi di maternità e paternità da parte di genitori lavoratori, richieste di aiuto su situazioni di violenza in ambito familiare e non da parte di donne, problemi legati a richieste di mobilità lavorativa in famiglie con figli con disabilità, richieste di aiuto per donne che non possono mantenere il posto di lavoro per ragioni di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, richieste di part-time che non vengono accettate dalle aziende  perché non esiste una legge specifica. Spesso lavoro anche su interventi di formazione o di informazione in convegni o scuole secondarie e università”.

Possiamo dire che esiste una questione femminile nell’Astigiano?

“Direi di sì,  specialmente sui livelli di occupazione femminile: stipendi molto più bassi di quelli degli uomini, tipologie di lavoro atipico penalizzanti,  specialmente per giovani donne laureate, problemi a ricollocarsi sul mercato del lavoro in settori diversi dalla cura alla persona dopo “aver fatto la mamma”. Diverse aziende che occupavano manodopera femminile (con bassa scolarità) sono ormai chiuse o in crisi, senza contare che esistono anche delle difficoltà per le donne ad accedere alla formazione, sia per problemi di conciliazione sia per le scarse risorse messe in campo dalla Provincia”.

Quote rosa in politica, un discorso richiamato di recente anche da Mariangela Cotto in relazione alla presenza femminile nei consigli comunali: è favorevole o contraria?

“Sono favorevolissima alle quote rosa: nei paesi in cui le quote rosa sono garantite, la presenza femminile è valorizzata, e mi pare che le cose funzionino meglio. Per ricordare una frase detta dalla capogruppo femminile in Parlamento al momento dell’Assemblea Costituente del 1946: “Non abbiate timore della nostra presenza, esimi colleghi, peggio di quanto avete fatto voi non potremmo fare”.
8 marzo 2009

 

 

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Un progetto pilota della Regione Piemonte in grado di assicurare un’alimentazione bilanciata senza penalizzare il portafoglio. Durante una delle ultime sedute di giunta dell’anno scorso infatti, su iniziativa dell’assessore Luigi Sergio Ricca è stato affidato alla direzione Commercio il compito di costituire un comitato tecnico che dovrà portare alla predisposizione di un “paniere salute”: prodotti alimentari stagionali e tipici del territorio piemontese, che contengano il più possibile i costi migliorando, per qualità e quantità, le razioni alimentari giornaliere.
Il comitato sarà composto da esperti del settore e presieduto a titolo gratuito dall’astigiano Giorgio Calabrese, docente di alimentazione e nutrizione all’Università Cattolica di Piacenza.
Professor Calabrese, come è nata l’idea di quella che è stata già battezzata la “social diet”?
“In un’intervista al Corriere della Sera di fine agosto affrontai una precisa problematica: una famiglia media non può faticare ad arrivare alla terza settimana per mangiare. Mercedes Bresso e Luigi Sergio Ricca hanno, con grande sensibilità. raccolto il mio richiamo; insieme abbiamo contatto rappresentanti della grande, media e piccola distribuzione, l’Ascom, la Confcommercio, la Coldiretti, la Cia e le associazioni dei consumatori e, grazie anche alla preziosa consulenza dello chef televisivo Fabio Campoli, abbiamo creato un elenco comprendente circa 300 prodotti sani, gustosi e dal prezzo ragionevole”.
Quando partirà la campagna e come funzionerà?
“Dovrebbe partire con la primavera, forse proprio il 21 marzo. Per otto mesi i prezzi dei prodotti saranno bloccati e la loro provenienza garantita, in un’ottica di filiera corta. Una dettagliata tabella sarà collocata negli esercizi aderenti (a oggi circa 2000, con il proposito di raddoppiare questo numero già nel corso dei primi mesi, N.d.R.) e in base a essa ciascuno potrà individuare la dieta più appropriata al suo profilo: dall’impiegato sedentario allo sportivo, dal giovane all’anziano. I menù proposti  non integreranno una dieta dimagrante, ma saranno improntati al benessere fisico e a quello del conto in banca”.
Veniamo al dunque, qual è il menù tipo?
“Una dieta mediterranea, è il consiglio che non mi stanco mai di dare. Però con un occhio di riguardo verso i prodotti del territorio. Per noi piemontesi si può pensare a una colazione a base di latte di provenienza locale e una biovetta rafferma fatta tostare; per spezzare il digiuno, a metà mattinata suggerisco un frutto, come una mela astigiana; per pranzo, spazio a riso o pasta accompagnati da verdure di stagione, il tutto condito da un filo d’olio extravergine e formaggio grattugiato, del Castelmagno può andare benissimo, mentre una pera Madernassa sarà un ottimo dessert. Non rinuncio alla squisita cioccolata piemontese, che inserirei come merenda, mentre per cena, oltre all’immancabile piatto caldo come una minestra di legumi e semola, è bene consumare delle proteine animali: pesce di lago o di fiume, carne di Fassone, pollo Tonchese o formaggi nostrani. Ad innaffiare il tutto un buon bicchiere di vino. Sarà stupita, ma tutto ciò si può avere spendendo 4,50 euro al giorno a persona adottando piccoli e fondamentali accorgimenti: prima di tutto,  comprare verdure fresche in Campo del Palio o in piazza Catena, ad esempio”.

7 febbraio 2009