A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli  e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto

(1 Cor 15,3-11).
Introduzione
Nel cammino della Chiesa.
Carissimi,
l’anno pastorale che ci attende si presenta ricco di sollecitazioni. E’, come sempre, un cammino di speranza, ispirato e sorretto da Gesù Risorto, speranza del mondo. Queste espressioni fanno riferimento al convegno ecclesiale di Verona, che è stato un avvenimento importante per la Chiesa italiana, impegnata a vivere in questo nuovo millennio in cui tante cose stanno cambiando, ma in cui sentiamo con certezza che gli uomini continuano ad avere bisogno di Gesù Cristo e del suo Vangelo.
Ci siamo proposti di mostrare il volto bello della Chiesa  con l’impegno della carità e sentiamo di dover proseguire su questa strada, consapevoli che il messaggio più eloquente è quello della testimonianza.
L’anno che siamo chiamati a vivere porta con sé alcune circostanze e avvenimenti capaci di suggerire precise scelte di impegno per la nostra Chiesa diocesana, in linea con la Chiesa italiana e l’intera comunità dei credenti.
A quarant’anni dalla contestazione.
Un primo elemento di riflessione lo raccolgo dalla memoria di un anno che ha portato grandi cambiamenti nel modo di pensare e di vivere. Quarant’anni or sono abbiamo vissuto la contestazione del 1968, che molto ha fatto soffrire quanti, allora in età matura, immaginavano una vita guidata da sicurezze ormai acquisite e si sono trovati invece nella necessità di confrontarsi con una ventata violenta di rottura con il passato, che metteva in dubbio qualsiasi certezza. Quanti allora vivevano la propria giovinezza, forse hanno vissuto con entusiasmo da protagonisti questo salto generazionale, salvo poi trovarsi a doverlo gestire, nelle proprie scelte di vita e nelle responsabilità che comunque hanno dovuto assumere negli anni successivi. Le generazioni che sono venute in seguito non hanno vissuto quelle situazioni e potrebbero, a rigore, anche ignorarle.
Di fatto molte scelte di vita oggi sono fondate semplicemente su quello che piace e torna comodo, con l’unico accorgimento di evitare scelte definitive e investimenti totalizzanti. Nel lungo periodo alcune domande non possono tuttavia essere evitate: è possibile impostare una vita che abbia senso, senza individuare ideali da conseguire e valori su cui fondare le proprie scelte? La rottura con il passato non ci ha per caso privato della memoria di avvenimenti importanti, di situazioni preziose e di comportamenti capaci di arricchire le personalità e le relazioni?
Qualche riflessione su questo periodo significativo è stata fatta nella nostra città, ma rischia di rimanere sterile, se ciascuno di noi e la società nel suo complesso non giungono a chiarire cosa vale la pena accantonare di un tempo passato e cosa invece è necessario mantenere con forza.
Sinodo sulla Parola di Dio.
Nei prossimi mesi verrà celebrato il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio. Mi sembra provvidenziale per noi, che viviamo in un mondo che cambia e che sente il bisogno di rispondere alle drammatiche domande che abbiamo formulato. Mai come in tempi di grandi cambiamenti c’è bisogno di punti fermi e la Parola del Signore può veramente costituire il riferimento sicuro su cui basare l’impostazione della propria vita, poiché Gesù Cristo assicura che il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.  Peraltro la Parola di Dio non propone principalmente doveri morali, ma fondamentalmente narra una storia di relazione e di amicizia fra Dio e l’uomo, costellata di avvenimenti che costituiscono un’azione di salvezza, di cui è importante mantenere la memoria, anche per comprendere chi è l’uomo, oggetto della memoria di Dio.
L’Anno Paolino.
Un altro prezioso stimolo per la vita della Chiesa è la celebrazione dell’anno di San Paolo, a duemila anni dalla sua nascita, collocata dagli storici tra l’anno 7 e il 10 d.C. Paolo di Tarso è una figura di grande significato per noi, per la sua vicenda umana e religiosa, per la sua personalità e per l’insegnamento che ci ha tramandato, soprattutto nelle preziose lettere, di cui ascoltiamo numerosi brani durante le celebrazioni liturgiche. Egli ha fatto esperienza di interventi tutti particolari di Dio nella sua vita, di cui ha conservato vivamente la memoria. Ma egli sapeva che lo stesso Dio ha donato a tutti gli uomini una uguale attenzione, in una storia di alleanza voluta fin dalla creazione del mondo, proposta ad un popolo prescelto per testimoniare la sua vicinanza e rinnovata in modo definitivo con la vicenda di Gesù di Nazaret. Nella consapevolezza che gli avvenimenti essenziali di questa storia non dovevano essere dimenticati, si è preoccupato esplicitamente di trasmettere alle generazioni successive quanto lui stesso aveva ricevuto: Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso .
Il Cardinal Massaja.
L’8 giugno 1809, nella nostra Diocesi, nel paese di Piovà, nasceva Lorenzo Massaja, che in memoria del fratello maggiore sarebbe divenuto Fra Guglielmo, nell’ordine dei Frati Minori Cappuccini e che noi ricordiamo come il Card. Massaja. In Etiopia rimane la memoria dell’Abuna Messias, che talmente sentiva la ricchezza dei valori cristiani ricevuti dalla sua famiglia, da sentire il bisogno di trasmetterla a chi non ne aveva mai sentito parlare.
Sarà bello fare memoria di lui a duecento anni dalla sua nascita. Ma la testimonianza più certa che il suo spirito è vivo, sarà il nostro desiderio di trasmettere a nostra volta quanto abbiamo ricevuto, come lui, che si era esposto ad ogni genere di difficoltà, pur di raggiungere la terra della sua missione, o come San Paolo, talmente affascinato dalla memoria del suo incontro con Cristo da dire a se stesso: Guai a me se non avrò annunziato il suo Vangelo.
I – Il grande dono della tradizione.
Rottura con il passato.
Il ricordo del 1968, anno simbolo di un atteggiamento che perdura nella nostra mentalità e nei comportamenti, costituisce la provocazione da cui vogliamo partire per individuare gli obiettivi del nuovo anno pastorale.
I giovani di quella stagione hanno vissuto con il nobile ideale di rinnovare la società, di eliminare atteggiamenti stancamente ripetitivi e ancorati al “si è sempre fatto così”. Hanno desiderato proporre intuizioni nuove, ricche di autenticità e di sentimento personale e atteggiamenti purificati da uno stantio riferimento al passato. Ma, pur con le migliori intenzioni, il 1968 ha prodotto una rottura che ha aperto la strada ad un’impostazione di vita radicalmente diversa, determinata non solo da uno spirito di contestazione, ma da una serie di rapidi e vasti cambiamenti  forse mai conosciuta in precedenza nella storia.
Problematiche di oggi.
Molti anni sono passati ormai da quel lontano 1968 e le situazioni che viviamo non possono essere addebitate tutte a quella stagione. Ma certamente il mondo oggi vive con grande accelerazione quella rottura con il passato che aveva caratterizzato le battaglie di allora. Ultimamente stiamo vivendo una globalizzazione inarrestabile, che porta con sé una società frammentata, resa complessa dalla diversità delle provenienze e dalla pluralità delle culture.
Questa società ha raggiunto – nelle regioni del Nord – un livello di benessere complessivo elevato, ma tradisce un’insicurezza caratterizzata da un senso di precarietà e di preoccupazione crescente, in cui emergono le grandi problematiche dell’invecchiamento della popolazione, della difficoltà dei giovani che stentano ad inserirsi nel mondo del lavoro e di una immigrazione non sempre accolta con disposizioni d’animo e con politiche adeguate. Le famiglie, in particolare, vivono in una condizione d’affanno, per le loro problematiche interne e per un lavoro sempre più precario e spesso incompatibile con una serena presenza nella propria casa. In questo quadro i nodi problematici sono numerosi: lo sgretolamento della famiglia, un esagerato permissivismo, l’assenza dei genitori nell’educazione dei figli che viene demandata ai nonni o alla scuola, il bombardamento a cui sono sottoposti i giovani dai mezzi di comunicazione che propongono stili di vita inquietanti e negativi per una sana crescita, la formazione di gruppi auto-gestiti senza la presenza di figure adulte di riferimento e che facilmente si trasformano in “branco”, la mancanza di educatori “formati” che sappiano accogliere, accompagnare, guidare e formare alla vita cristiana.
Non intendo assolutamente esprimere giudizi sulle responsabilità di questa situazione. Semplicemente vorrei accoglierla con lo stesso atteggiamento del Signore Gesù, venuto non per giudicare, ma per salvare il mondo. Non sono certo di saper individuare né cause né soluzioni, ma sono convinto che il mondo non è nato con la nostra generazione e che tutto il bene operato e vissuto nella storia costituisce tuttora un patrimonio prezioso disponibile per noi, se soltanto siamo capaci di conoscerlo, farne memoria e trasmetterlo, arricchito da quanto noi stessi vi sapremo contribuire.
L’Anno Paolino.
In questa situazione mi pare provvidenziale la celebrazione di un anno paolino. La figura di San Paolo è stata certamente di rottura rispetto al passato, ma nella rottura egli ha saputo trovare continuità con quanto di buono gli era stato donato. La sua conversione aveva segnato una presa di distanza da una vita religiosa priva della persona di Gesù Cristo e la sua riflessione di apostolo segnava il passaggio da una vita cristiana vissuta all’interno di una comunità ristretta alla preoccupazione di aprirsi a tutti gli uomini, di qualsiasi cultura e nazionalità. Nella primitiva comunità cristiana Paolo rappresentava una novità sconvolgente, ma preziosa, perché saldamente ancorata alla memoria di quanto Dio aveva operato per tenere fede all’alleanza con il popolo ebraico e soprattutto di quel che Gesù Cristo aveva fatto per una nuova ed eterna alleanza, non solo per quanti già lo conoscevano, ma per tutti gli uomini. Era la testimonianza vivente che assumere il passato con spirito nuovo, cioè l’Antico Testamento interpretato alla luce di Gesù, costituisce la fedeltà vera a quel Dio che mantiene e rinnova la sua misericordia di generazione in generazione.
La crisi di questo apostolo, conteso tra il radicamento profondo negli insegnamenti rabbinici e la novità cristiana, tra l’amore personale a quel Gesù che lo aveva amato e che era morto per lui e la consapevolezza di doversi aprire ad un amore universale, aveva trovato composizione nella sua capacità di fondare la novità delle sue intuizioni sulla memoria di quanto gli era stato donato, cioè nel suo rapporto privilegiato con Gesù Cristo, che non gli faceva rinnegare, ma rinnovare l’esperienza della religione ebraica.
La vicenda personale di Paolo conferma come l’esperienza religiosa si fa anche memoria, che si trasmette attraverso una tradizione. Ogni gruppo religioso vive oggettivamente e soggettivamente una discendenza credente e anche alla base della fede cristiana vi è una tradizione, che raccoglie e trasmette la memoria di quanto Dio ha donato agli uomini. Anche noi, che viviamo oggi la nostra esperienza di fede, la viviamo grazie al dono di questa tradizione e abbiamo la  responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta abbiamo ricevuto.
La tradizione come trasmissione di memorie.
Tradizione è un termine, un concetto, un’esperienza che, nella vita di fede, è essenziale. Essenziale perché la fede ci è tramandata. E anche ogni momento di svolta nella vita della Chiesa è un momento di questa inesausta consegna. Non sono le persone che contano: è quanto uno affida ad un altro, quanto una generazione affida a un’altra. E ciò che è da affidare non può mai essere altro che questo: il Signore Gesù, crocifisso, morto e risorto.
Consapevolmente o meno, tutti siamo immersi in una dinamica di tradizione e consegna di valori da trasmettere o da ricevere, depositari responsabili di memorie importanti e bisognosi di un patrimonio che molto ha donato alle generazioni precedenti e molto può ancora rivelarsi prezioso.
Molto sapientemente il popolo ebraico impostava l’educazione religiosa proprio sulla memoria dei benefici che Dio aveva sempre riservato al suo popolo. E’ molto interessante la motivazione con cui i giovani ebrei venivano educati a contribuire alle spese per il culto con le primizie dei loro raccolti. Il libro del Deuteronomio propone questo gesto nel contesto di un atto di fede, non tanto in una dottrina, quanto nell’intervento provvidenziale e misericordioso di Dio nella travagliata storia del popolo ebraico.
In questo nostro tempo di cambiamenti vertiginosi anche la cultura laica sente il bisogno di mantenere viva la memoria di quegli avvenimenti che hanno segnato la storia di intere comunità civili. Spesso purtroppo si tratta di memorie che alimentano ostilità e divisioni, ma è comunque essenziale tenerle vive, perché determinano l’identità e il comportamento di persone e di intere popolazioni.
Allo stesso modo è importante che venga mantenuta viva e trasmessa da una generazione all’altra la memoria degli interventi di Dio, per motivare l’appartenenza al suo popolo e lo stile di vita da adottare per essere coerenti a questa appartenenza .
2 – L’impegno educativo come tradizione in atto.
Memoria come radice di identità.
Spesso sentiamo una preoccupazione grande per l’incontrollabile desiderio di trasgressione che si insinua in molti e sembra compromettere la stessa sicurezza della vita sociale. La sicurezza non può essere garantita soltanto dalla repressione dei comportamenti sbagliati: richiede un impegno educativo capace di orientare serenamente ad atteggiamenti rispettosi e soprattutto capace di proporli con motivazioni convincenti. Non possiamo illuderci che per formare persone responsabili e corrette sia sufficiente comandare, proibire o formulare giudizi morali: la sfida educativa si gioca essenzialmente sulla capacità di motivare i comportamenti. Il mondo cristiano dispone degli strumenti adatti per dare supporto a queste motivazioni, perché sempre e con forza ha proposto precise regole di comportamento, ma sempre ha motivato queste indicazioni come modalità per realizzare l’identità della persona umana. Nella luce della nostra fede ogni volta che ad una persona si propongono indicazioni morali, è sempre possibile completare il discorso dicendo: Tu devi, perché tu sei.
Sei un uomo, creato a immagine di Dio.
Sei esposto al pericolo di sbagliare, fin dall’origine dell’umanità.
Sei stato salvato dal peccato, a caro prezzo.
Sei figlio di Dio, grazie all’incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù, Figlio di Dio.
Sei fratello tra fratelli, in quella grande famiglia che è la Chiesa fondata da Gesù Cristo.
Sarai completamente realizzato quando avrai raggiunto il tuo destino di felicità eterna.
In questa luce è possibile un’azione educativa, tanto più valida ed efficace quanto più radicata sulla persona e sull’esempio di Gesù Cristo. Per questo la Chiesa sente come suo compito essenziale quello di fare memoria: memoria della morte del Signore  e insieme della sua presenza di Risorto, memoria della sua Parola, memoria dei suoi insegnamenti di vita. Oggi più che mai è importante un’azione educativa arricchita dalla memoria di quanto il Signore ha fatto per rendere felici gli uomini. Se le comunità cristiane accettano di farsene carico, si dà continuità ad una tradizione che non si riduce ad una fredda conoscenza del passato, ma consiste in un dinamismo di accoglienza e trasmissione dei doni di Dio, diventando strumento vivo di una continua rivelazione di Dio e dell’uomo.
Educare alla speranza.
San Paolo esprimeva in questi termini il senso della sua vita: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. All’interno di una cultura che ha vissuto e continua a percepire le conseguenze di una rottura con il passato, si tende a vivere il presente senza collocarlo in una continuità storica, con l’evidente pericolo di non comprenderne il senso. Senza memoria di un passato e senza la proposta di una meta nel futuro, viene meno non solo la comprensione del presente, ma la comprensione stessa del significato della vita e, di conseguenza, anche la speranza. I ragazzi e i giovani hanno bisogno di essere aiutati a trovare il senso della loro vita, per viverla nella speranza. Chi ha trovato nella fede in Cristo il senso della propria vita non può esimersi dalla responsabilità di rispondere a questa loro necessità. Una responsabilità che è decisamente superiore alle forze umane, perché la trasmissione della fede è opera divina, ma ci chiama ugualmente in causa, perché l’azione dello Spirito passa anche attraverso l’azione degli educatori. L’educazione è la collaborazione umana alla trasmissione della fede.
Compito doveroso e possibile.
Una comunità cristiana che non si faccia carico di questo impegno di educazione alla fede ha la terribile possibilità di vanificare l’azione dello Spirito del Signore, con la preoccupante conseguenza di esporre i giovani a rimanere privi di una ricchezza essenziale per la loro vita. In nome di un presunto rispetto della libertà molti cristiani, anche adulti nella fede, non si preoccupano di trasmettere quanto hanno ricevuto, magari con la motivazione di non averne la capacità e le competenze. Di fatto assistiamo al triste spettacolo di intere comunità dove neppure ci si pone il problema di una pastorale giovanile. Spesso per mancanza di forze e carenza di capacità, ma talvolta semplicemente per mancanza di amore. Don Bosco amava i giovani perché erano giovani, senza altre specificazioni. Li cercava là dove erano, per la strada o in carcere, nelle periferie o nelle case; comunque si rapportava a loro così com’erano, senza dare l’impressione di volerli cambiare a tutti i costi. A partire dall’amicizia e dal rispetto, faceva leva sulle risorse che sempre vedeva in ogni giovane, anche il più disgraziato e delinquente.
Qualunque persona adulta nella fede e interessata ai giovani può contribuire alla loro formazione, perché educare è innanzitutto affare di cuore, caratteristico di chi ama i giovani, ma prima ancora ama Dio e se stesso. Prima ancora di essere un servizio per le giovani generazioni, l’impegno educativo arricchisce chi lo esercita, poiché  la trasmissione del Vangelo comporta vita di fede, occhi spirituali per discernere che cosa lo Spirito opera già nel cuore di coloro di cui si ha responsabilità, autorevolezza e giusto equilibrio tra autorità e dialogo, capacità di perepire quando lo Spirito richiede la conversione del nostro atteggiamento educativo… atteggiamenti tutti di grande arricchimento spirituale.
Compito della comunità.
La trasmissione della fede non può essere realizzata da una singola persona, ma può sperare di essere efficace solo a condizione di coinvolgere l’intera comunità, della Chiesa diocesana piuttosto che di una parrocchia o di un gruppo. È la comunità che custodisce le memorie della fede; è la comunità che affida a qualcuno (genitore, catechista, animatore) il compito di educare le nuove generazioni ed ancora la comunità è responsabile di sostenere il lavoro dei singoli.
Isolare i ragazzi e i giovani dal resto della comunità civile ed ecclesiale, rinchiudendoli in un mondo a sé, caratterizzato da luoghi ed esperienze anche interessanti e gioiosi, ma dove possono incontrare solo coetanei, senza mai un dialogo e un confronto con gli adulti e gli anziani, conduce ad un impoverimento notevole, sia per la comunità che per i ragazzi stessi e la loro crescita.
Le comunità educative (famiglia, parrocchia, scuola, associazioni e gruppi), possono e devono essere luoghi di sostegno all’impegno personale del giovane, mostrando la bellezza e la positività del dono di sé agli altri, del sacrificio per amore, della gioia che nasce dall’amore offerto gratuitamente. In comunità aperte a queste esperienze i giovani possono gustare, insieme agli adulti, il senso della vita e impostare il futuro con generosità ed impegno responsabile.
Ruolo particolare della famiglia.
La famiglia in particolare è il soggetto che più va sostenuto e valorizzato sotto ogni profilo: politico, culturale, sociale, religioso, proprio in vista di un investimento necessario verso di essa e le nuove generazioni. Ogni sforzo verso i ragazzi, verso gli anziani e verso molti aspetti della vita sociale e religiosa può trovare nuova linfa e vigore a partire dalla famiglia, aiutata ad essere soggetto primo e responsabile della crescita sua e di tutti i suoi membri.
Saldi nella fede per trasmettere la fede.
Non mi nascondo quanto quest’azione educativa sia complessa e difficile, ma vorrei evitare l’equivoco di attribuire la difficoltà ai tempi perversi e ai ragazzi di oggi, disturbati e non disponibili. Certamente alcune difficoltà sono cresciute a motivo della precarietà delle famiglie, ma le dinamiche dell’educazione, i suoi problemi e le sue bellezze non sono mai cambiate. Semmai oggi troviamo più difficile educare non perchè i ragazzi siano diversi, ma perchè non sappiamo neanche noi in cosa credere con tutto il cuore, la mente, la forza e soprattutto se vale la pena di rinunciare a qualcosa per affermare ciò in cui crediamo.
Per questo è importante che le realtà pastorali della Chiesa diocesana provvedano ad offrire luoghi, occasioni e iniziative di incontro tra generazioni insieme alla famiglia, che permettano di arricchirsi vicendevolmente, grazie ai doni di cui ciascuno dispone. In particolare sarà importante la vitalità delle comunità parrocchiali, che rappresentano, anche oggi, una realtà di comunione e di incontro tra famiglie e tra generazioni, ma, in termini più ampi, è necessario un patto educativo tra famiglia, scuola, comunità civile e religiosa e gli stessi ragazzi, rendendosi tutti responsabili di una testimonianza di vita coerente e sincera.
Un progetto educativo
Queste riflessioni potranno trovare attuazione concreta solo a condizione che qualcuno le prenda a cuore, traducendole in un progetto caratterizzato da competenza psicologica ed educativa. In modo particolare invito gli animatori e i catechisti a farsi carico di questo impegno, personalmente e accomunati da una riflessione comunitaria, alla ricerca di un linguaggio adatto e di una catechesi capace di trasmettere non solo dei valori, ma l’amicizia stessa con il Signore Gesù. Sarebbe anche auspicabile che questa ricerca vedesse coinvolti gli insegnanti di religione e le associazioni di insegnanti cattolici, vista la loro vicinanza ai giovani e la particolare competenza professionale.
3 – La pastorale giovanile
Amore della Chiesa per i giovani.
La Chiesa ha sempre attribuito una speciale importanza al periodo della giovinezza, come ad una tappa chiave della vita di ogni uomo. Nella storia recente Giovanni Paolo II ha saputo rafforzare la stabile priorità dell’attenzione della Chiesa al mondo giovanile con l’istituzione delle Giornate Mondiali della Gioventù, che hanno il grande merito di aver posto i giovani al centro dell’attenzione degli uomini di buona volontà e delle istituzioni sinceramente animate dal desiderio di costruire un futuro buono per tutta l’umanità. Ogni Giornata Mondiale suscita un nuovo fervore nei giovani che vi partecipano, che si potrebbe rivelare ancor più efficace se vi facesse seguito un’adeguata ricaduta sulla pastorale giovanile dei tempi ordinari.
I vescovi italiani hanno accolto questo nuovo clima traducendolo in quattro proposte fondamentali: camminare con i giovani; porre al centro la persona di Cristo vivo nella sua Chiesa; sviluppare la mediazione operativa di tutta la comunità cristiana; dare forza allo slancio missionario.
All’interno della riflessione sul dono della tradizione, che impegna la Chiesa e tutti i credenti a trasmettere i doni ricevuti, anche la nostra Diocesi sente il dovere di interrogarsi se è sufficientemente attenta alla realtà giovanile. Il mondo che cambia è costituito anzitutto dai giovani. Essi hanno bisogno di incontrare il Cristo Risorto.
In un mondo che cambia.
Già abbiamo rilevato il clima di vertiginoso cambiamento che caratterizza questo inizio di millennio. Anche le nostre comunità vivono all’interno di questo cambiamento e ne subiscono l’influsso, forse non sempre in modo consapevole. La vita di fede, la pratica religiosa e la sensibilità morale sono gli elementi più esposti alle influenze della cultura secolarizzata, soprattutto nell’età giovanile.
I giovani vivono oggi problematiche tanto nuove da rendere indispensabile un’attenta revisione dei metodi adottati in passato per comunicare la fede alle nuove generazioni e per trovare nuovi linguaggi e metodi nuovi.
Sfide che ci interpellano.
In un mondo che cambia la Chiesa deve mantenere ferma la scelta prioritaria di una grande attenzione al mondo giovanile, riservando anzitutto una particolare attenzione all’evidente e radicale trasformazione dei modelli di vita, che comporta problemi non indifferenti a livello affettivo, sociale, comportamentale e anche legislativo, oltre che economico.
Assistiamo ad esempio all’esaltazione dei sentimenti, spesso separati dai legami che impegnano in maniera profonda e stabile e implicano una vera assunzione di responsabilità. In modo sempre più frequente, infatti, i rapporti e le manifestazioni affettive delle persone vengono vissuti senza un orientamento alla formazione di un vincolo familiare, anzi talvolta positivamente lo escludono.
Nel concreto della vita sociale si registra una crescente fragilità della famiglia. Mentre si riduce il numero delle persone presenti nei nuclei familiari, tendono a rafforzarsi le logiche individuali a scapito di quelle familiari. Emergono comportamenti affettivi più legati alle prospettive dell’individuo che a quelle condivise tra i componenti della famiglia. Il modello di famiglia emergente appare estremamente problematico, perché una logica individualistica è assolutamente incompatibile con la vita familiare, che trova la sua bellezza appunto nel considerare i propri cari come parte integrante di se stessi. Questa logica individualistica espone allo sgretolamento qualsiasi forma di convivenza e mina alla radice ogni rapporto educativo, perché il pensare a se stessi prima che agli altri impedisce in partenza non solo la capacità di trasmettere le ricchezze della propria vita, ma la presenza stessa dei valori, che vengono radicalmente vanificati, quando si accetta di lasciarsi condurre dal proprio egoismo.
Poste queste premesse, non può suscitare meraviglia il fatto che la natura umana e il corpo vengano ridotti a strumenti della libertà di godere, privi di riferimento al valore della persona, alla sua crescita e alle sue relazioni presenti e future.
Proposte coraggiose.
In questa situazione è importante far comprendere ai giovani che la persona umana si realizza in pienezza solo quando sa porre se stessa al servizio della felicità  degli altri. L’individuo che pensa solo a se stesso è radicalmente privo di significato, perché solo tra gli altri e accanto agli altri acquista la sua ragione di essere.
Per accogliere e motivare questo amore oblativo, occorre comprendere il significato della dimensione sponsale del corpo, secondo il disegno divino sull’uomo e sulla donna e sulla loro relazione originaria, per aiutarli a divenire sempre di più, nell’amore e nel dono di sé, quello che la persona umana è fin dall’origine: un dono di Dio per i fratelli.
L’esempio di San Paolo, in costante ricerca di Gesù Cristo, morto, risorto e presente nella comunità cristiana e nel mondo, può infondere il coraggio di queste proposte, che non verranno mai formulate se gli educatori non sono animati a loro volta dal desiderio e da una logica di donazione totale che costituisce la via migliore di tutte.
Dono di valore perenne.
Il dono della fede è per noi la perla preziosa che ci sprona a un rinnovato impegno per la pastorale giovanile, come strumento di quella tradizione che è forma primaria dell’attività ecclesiale. Dalla predicazione degli Apostoli fino ai giorni nostri la fede è giunta grazie a questa tradizione ininterrotta. In tempi di cambiamenti rapidi e profondi una comunità capace di passare ai giovani il testimone della fede sarà il segno della centralità di Cristo nella nostra esistenza personale, nelle nostre famiglie e comunità.
Oggi però la tradizione non può essere considerata soltanto nella linea verticale, di generazione in generazione, a causa dei contrasti generazionali e della difficile comunicazione tra le generazioni. La tradizione dovrà avvenire anche nella relazione tra coetanei e talvolta potranno essere i più giovani a portare il Vangelo nelle loro famiglie e nel mondo degli adulti. Sappiamo bene che i giovani hanno bisogno di serie attenzioni educative, ma non è sufficiente considerarli come termine privilegiato delle attenzioni pastorali. Essi sono chiamati per primi a comunicare il vangelo. Giovanni Paolo II scriveva loro: Prendete il vostro posto nella Chiesa, che non è solo quello di destinatari di cura pastorale, ma soprattutto di protagonisti attivi della sua missione. La Chiesa è vostra, anzi, voi stessi siete la Chiesa. A sua volta Benedetto XVI, a Colonia, ha affidato ai giovani, indicando i santi come veri riformatori, la costruzione di un’umanità più giusta, in nome di Gesù Cristo.
Impegno di ampio respiro.
Non è facile per la comunità cristiana costruirsi a misura di mondo giovanile. Ma non è neppure impossibile, se soltanto si accetta di uscire dal proprio ambito ristretto, per avvalersi di quanto viene proposto a più ampio raggio.
Un primo aiuto lo possiamo trovare a livello di Chiesa universale, se sappiamo uscire dall’isolamento della nostra piccola realtà valorizzando le Giornate Mondiali della Gioventù, che costituiscono un’esperienza trainante e determinante per il mondo giovanile cattolico, a cui hanno dato identità e consapevolezza di sé, capacità di fare cultura e slancio missionario.
La Chiesa Italiana si è premurata di valorizzarle ulteriormente, con il progetto Agorà. Da qualche parte viene considerato ingenerosamente un’indebita ingerenza nel cammino delle Chiese locali, ma, compreso e accolto cordialmente, offre contenuti, metodo e iniziative interessanti, di grande utilità per chi si trova in difficoltà a progettare un impegno pastorale a favore dei giovani.
Per il nostro territorio un aiuto prezioso è  il Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile, che non intende nel modo più assoluto sostituirsi alla necessaria presenza delle parrocchie accanto ai giovani, ma costituisce un utile strumento per accogliere le possibilità offerte a livello mondiale e nazionale, per suggerire programmi e offrire strumenti per le attività locali, per invitare alle iniziative comuni che doverosamente la Diocesi propone e, all’occorrenza, per condurre attività di supplenza in caso di risorse pastorali limitate  e di ambienti troppo ristretti.
Naturalmente il Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile non deve essere visto in alternativa all’impegno parrocchiale, né tanto meno in concorrenza, ma semplicemente come un servizio per camminare insieme, alla ricerca delle modalità più efficaci per aiutare i giovani all’incontro con il Signore nel proprio cuore, nella famiglia, nella comunità parrocchiale e diocesana, nel mondo e nelle sfide che l’attuale società comporta.
Conclusione e proposte.
Una comunità che semina memorie.
Nelle comunità cristiane delle origini c’era l’abitudine di consegnare al fratello che stava per intraprendere un lungo viaggio il frammento di un vaso di terracotta frantumato. Al ritorno questo fratello sarebbe stato riconosciuto dal frammento ricomposto in unità con quello di tutti gli altri.
Soltanto la comunità nel suo complesso è in grado di esprimere la tradizione della fede nella sua totalità, ma ciascuno è certamente in grado di donare un piccolo frammento, che insieme a tutti i frammenti messi a disposizione dai fratelli, contribuisce alla completezza della proposta evangelica.
Le proposte che mi permetto di avanzare in questa pagina conclusiva hanno esattamente questo scopo, di suggerire i tasselli che ciascuno può offrire perché la vita cristiana continui ad essere trasmessa in tutta la sua bellezza.
Annuncio.
Innanzi tutto dobbiamo offrire una catechesi come memoria sempre più viva e personale di Gesù. Questo prevede un’azione educativa che veda coinvolti genitori, animatori e catechisti, insegnanti di religione e associazioni di insegnanti cattolici, mediante percorsi sempre più unitari tra la pastorale della fanciullezza e della preadolescenza, pastorale giovanile e pastorale familiare. Sarebbe auspicabile un progetto educativo attento a queste prospettive, possibilmente elaborato nella comune riflessione dei responsabili di questi settori. 
Inoltre, sollecitati dal Sinodo dei Vescovi che nell’Assemblea Generale Ordinaria del prossimo ottobre 2008 tratterà il tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, sarà importante per la nostra Diocesi consolidare l’abitudine di incontrarsi per pregare con l’antico metodo della Lectio divina. Tra i contributi che sono stati offerti per la stesura di questa lettera c’è anche il suggerimento di accostare le lettere di San Paolo esplorando gli aspetti educativi che emergono da quelle pagine: il progetto di Dio, il soggetto come comunità e non come singolo individuo, la concretezza relazionale e l”armatura” del buon cristiano in tempi difficili, la dimensione escatologica.
Accolgo volentieri questa indicazione, che ci consente contemporaneamente di sottolineare la ricorrenza dell’anno paolino e la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, oltre che di avviare una comune riflessione in vista di un progetto educativo capace di formare i giovani con le ricchezze del messaggio cristiano.
Celebrazione.
L’ambito privilegiato per vivere e trasmettere la memoria di Gesù è la liturgia della Chiesa, in modo particolare nella celebrazione dell’anno liturgico, che da sempre propone il ricordo di una salvezza realizzata da Dio nella storia, costituisce un’azione attuale di presenza del Signore che salva e anticipa nella speranza quella salvezza che sarà motivo di felicità eterna.
Non si tratta certamente di una novità. Ma forse è bene preoccuparci di celebrare la liturgia con spirito nuovo, sentendola veramente come l’esperienza preziosa che permette di incontrare il Signore a chi già lo conosce e consente di conoscerlo a quanti stanno maturando la loro fede. Già altre volte avevamo proposto una celebrazione attenta ai piccoli. Nella prospettiva di questa nuova lettera pastorale vorrei proporre di ascoltare i giovani stessi per aiutarci a costruire uno stile di celebrazione il più possibile vivo e capace di parlare ai loro cuori.
Testimonianza della carità.
Una comunità preoccupata di fare del bene a tutti e di sostenere con amore i poveri e i malati è il modo più concreto di fare memoria di Gesù, che passava nel mondo risanando e facendo del bene a tutti. Egli continua a essere presente nel mondo tramite la bontà dei cristiani e il loro impegno nei confronti dei poveri e per il bene comune. Lo scorso anno avevamo proposto di attivare la Caritas sul nostro territorio, con almeno una presenza in ogni vicaria. Qualcosa già è stato realizzato, ma occorre perseverare in questo impegno fatto di operatività, ma prima ancora caratterizzato dalla comune sensibilità dei credenti nei confronti delle problematiche sociali. Un momento privilegiato per realizzare questo sentire comune potrebbe essere la partecipazione alle iniziative di Lectio Divina, in cui un momento qualificante è quello del confronto sulle suggestioni offerte dalla lettura della Parola di Dio. Se poi questo ascolto – confronto – azione di aiuto riuscisse a coinvolgere la preziosa presenza dei giovani, veramente la memoria di Cristo sarebbe stata proposta nella sua efficacia più completa.

Tra gli spunti che abbiamo individuato per lasciarci guidare nel cammino del prossimo anno, abbiamo sottolineato il secondo centenario della nascita del Card. Massaja, eminente figura di astigiano impegnato a far conoscere nel mondo la buona notizia di Cristo. Sarà importante accogliere le celebrazioni di questa ricorrenza per consegnare alla memoria degli astigiani questa figura significativa e stimolante.

Come potete vedere i cocci che possiamo mettere insieme per seminare memorie di vita cristiana sono molti e anche già abitualmente presenti nella vita delle nostre comunità. Il mio desiderio è semplicemente che tutto questo venga percepito come quella grande realtà che nella Chiesa costituisce la Tradizione e la consegna da una generazione all’altra dell’annuncio, testimonianza ed esperienza della salvezza che il Signore ci ha donato.
L’augurio è che questa consegna venga realizzata con lo stesso spirito missionario di San Paolo e sia accolta nel cuore di ciascuno con l’atteggiamento di Maria, che conservava nel suo cuore gli avvenimenti dell’Incarnazione di cui era stata protagonista.

? Francesco Ravinale

Asti, 1 settembre 2008

Solennità di Maria, Porta Paradisi

Riferimenti bibliografici.
MASSERONI E., L’educazione alla fede, cuore della Pastorale giovanile: esperienze, percorsi, prospettive. Assemblea CEI 1988.
CEI, Educare i giovani alla fede. Orientamenti emersi dai lavori della XLV assemblea generale. Roma 1999.
NOSIGLIA C., Le sfide della modernità all’educazione dei giovani, Schio, Centro di cultura card. Dalla Costa, 7 ottobre 2004.
SUPERBO A., Giovani e Vangelo: percorsi di evangelizzazione ed educazione. Assemblea CEI 2008.
CORECOM PIEMONTE, Educazione all’uso dei mezzi di comunicazione.
Indice

Introduzione: Nel cammino della Chiesa.
A quarant’anni dalla contestazione.
Sinodo sulla Parola di Dio.
L’Anno Paolino.
Il Cardinal Massaja.
I – Il grande dono della tradizione.
Rottura con il passato.
Problematiche di oggi.
L’Anno Paolino.
La tradizione come trasmissione di memorie.
2 – L’impegno educativo come tradizione in atto.
Memoria come radice di identità.
Educare alla speranza.
Compito doveroso e possibile.
Compito della comunità.
Ruolo particolare della famiglia.
Saldi nella fede per trasmettere la fede.
Un progetto educativo
3 – La pastorale giovanile
Amore della Chiesa per i giovani.
In un mondo che cambia.
Sfide che ci interpellano.
Proposte coraggiose.
Dono di valore perenne.
Impegno di ampio respiro.
Conclusione e proposte: Una comunità che semina memorie.
Annuncio.
Celebrazione.
Testimonianza della carità.
Riferimenti bibliografici.

Appuntamenti diocesani

Sabato 18 ottobre 2008 – San Paolo ore 21
Veglia missionaria

Domenica 16 novembre 2008 – Cattedrale ore 15,30
Festa della Chiesa locale

6 – 7 – 8 Dicembre 2008 – presso le Suore Domenicane
Esercizi spirituali per i laici predicati dal Vescovo

Sabato 2 maggio 2009 – Santuario di Vicoforte ore 21
Veglia Vocazionale

Sabato 30 maggio 2009 – Cattedrale ore 21
Festa di Pentecoste
Istituzione Ministeri.

Sabato 4 luglio 2009 – Santuario di Oropa:
Pellegrinaggio Diocesano
Il volto di una Chiesa in cammino.

STRUMENTI DI RIFLESSIONE E DI LAVORO.

Accanto alle proposte della lettera pastorale mi pare utile proporre una serie di strumenti per il lavoro del corrente anno.
Innanzi tutto propongo una particolare lettura degli Atti degli Apostoli, concentrata sulla vicenda di San Paolo, evidenziando graficamente i brani che possono essere utilizzati nella Lectio Divina. Mi pare che possa offrire la possibilità di accostare la Parola di Dio e contemporaneamente consentire una prima, sufficiente conoscenza dell’Apostolo delle Genti. La lettura degli Atti è integrata al termine con un brano della Lettera ai Galati per sottolineare lo spirito di libertà che emerge dalla proposta cristiana e uno della Lettera a Timoteo, che esprime il sentimento di Paolo al termine della propria esistenza terrena (pagina 2).
In secondo luogo un indice per la Lectio Divina  (pagina 25) tratta, appunto da questa lettura continua e orientata ad integrare i cammini particolari con gli appuntamenti diocesani, che opportunamente si possono ispirare alla celebrazione dell’anno paolino.
La riflessione dei Vescovi italiani sulla pastorale giovanile nell’Assemblea del 1988 (pagina 27).
Gli orientamenti sull’educazione dei giovani alla fede, emersi nell’Assemblea CEI del 1999 (pagina 31).
Una riflessione di Mons. Cesare Nosiglia sulla pastorale giovanile interpellata dalle sfide della modernità (pagina 34).
Una proposta dell’AIMC provinciale di Asti per avviare un progetto educativo (pagina 42).
Una riflessione del CORECOM PIEMONTE sull’educazione all’uso dei mezzi di comunicazione sociale (pagina 44).

Mi auguro che questi strumenti possano servire per tradurre in concreto le proposte della lettera pastorale Vi ho trasmesso quello che ho ricevuto, per natura sua necessariamente limitata ad una riflessione di quadro generale.

? Francesco Ravinale

HYPERLINK “http://www.labibbia.org/pls/bibbiaol/GestBibbia.Ricerca?Libro=Marco&Capitolo=13” l “VER_31” Mc 13,31.
Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Sal 8, 5).
1Cor 11,23.
1 HYPERLINK “http://www.labibbia.org/pls/bibbiaol/GestBibbia.Ricerca?Libro=1.Corinzi&Capitolo=9” l “VER_16” Cor 9,16.
Gv 3, 17.
1 Cor 11, 25.
Lc 1, 50.
Gal 2,20. Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me .
1 Cor 15,3-11.
Dt 26, 1-11.    Quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio ti darà in eredità e lo possiederai e là ti sarai stabilito, prenderai le primizie di tutti i frutti del suolo da te raccolti nel paese che il Signore tuo Dio ti darà, le metterai in una cesta e andrai al luogo che il Signore tuo Dio avrà scelto per stabilirvi il suo nome. Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni e gli dirai: Io dichiaro oggi al Signore tuo Dio che sono entrato nel paese che il Signore ha giurato ai nostri padri di darci. Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore tuo Dio e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi, e ci condusse in questo luogo e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato. Le deporrai davanti al Signore tuo Dio e ti prostrerai davanti al Signore tuo Dio; gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia .

Fil 3,13-14.
Giovanni Paolo II, Discorso di Natale ai giovani, 20 dicembre 1985.
Cfr K. Wojtyla,  Amore e responsabilità, pp. 84-89; Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 3ss.
1 Cor 15, 14. 17.
1 Cor 11, 25.
1 Cor 12, 31.
Giovanni Paolo II, Messaggio per la V Giornata Mondiale della Gioventù, Roma 1990.
2 Tim.
Gal 5
Ef.
At 10, 38.
Lc 2, 19.