Andrà in scena il 24 febbraio al Teatro Alfieri nell’ambito di Parole d’Artista, la Locandiera della compagnia Le Belle Bandiere, su progetto di Elena Bucci e Marco Sgrosso e il suggestivo allestimento di Maurizio Viani.
“Come in ogni allestimento della nostra compagnia – spiega la regista Elena Bucci – le luci, intese come parte integrante della scena e della drammaturgia, sono molto importanti. Permettono di suggerire ambienti e atmosfere, sottraendo il teatro a una schiavitù  materiale fatta di legno, ferro e dimensioni. In questo momento storico, il cinema e la televisione hanno la possibilità di creare perfette e credibili ricostruzioni d’ambiente che sostituiscono o precedono l’immaginazione. Il teatro invece, non potendosi permettere la stessa monumentale e costosa evocazione, ha affinato gli strumenti della tecnica al fine di invitare il pubblico a dare spazio alle personali fantasie di ognuno”.
Dove c’è luce, c’è  ombra e così anche nel testo di Goldoni che, se da un lato rivela una scoppiettante sequenza di situazioni ridicole e divertentissime che mettono alla berlina meschinità, solitudini e debolezze ancora del tutto attuali, dall’altro allude all’infrangersi del sogno di libertà  di Mirandolina, del tutto schiacciato dalle convenzioni e dalla necessità, e all’angosciante affannarsi di ogni personaggio per raggiungere una felicità che molto spesso non è dove si crede.
“Questa colorata fantasmagoria di tentativi, fughe, rincorse e svelamenti è sintetizzata nella scena iniziale dove per diversi minuti non vediamo che ombre di attori, ombre di ventagli e di mantelli, come se Locandiera stessa fosse un sogno che precipita nel finale verso un risveglio durissimo, anche se pieno di consapevolezza e di realtà.
Ogni ritorno di ombre, contrappunto agli eventi sulla scena, non è altro che un richiamo alla nostra parte più irrazionale e più autentica, dove prendiamo la forza per creare nuove visioni e reagire con ipotesi personali e coraggiose ai condizionamenti della storia e della società. Poco importano la vittoria o la sconfitta: la soddisfazione è tutta nel viaggio, anche se a bordo di una grande nave alla deriva che scricchiola e dondola, nel nero mare di un futuro incerto”.
“Nei nostri lavori – dice Marco Sgrosso –  grazie all’apporto magistrale e poetico di Maurizio Viani, la luce si integra alla scenografia e in molti casi la sostituisce addirittura, è  un elemento con cui dialoga il corpo dell’attore e la colonna sonora, definisce percorsi e limiti sia spaziali che emozionali, ha una funzione sia realistica che simbolica ed espressiva. Nelle sue creazioni Viani è sempre attento ai colori degli oggetti, alla luminosità  delle stoffe dei costumi, quindi la luce concorre alla sinfonia generale dello spettacolo. Nel caso de La locandiera, l’intuizione condivisa di Elena e di Maurizio di giocare anche con le ombre allude sottilmente a un doppio dei personaggi e alla loro identità perennemente sfuggente, in quel balletto di apparenze e vere identità che è la locanda di Mirandolina”.

Su cosa avete lavorato maggiormente e cosa caratterizza la vostra interpretazione di un’opera tanto celebre?
“Sono molti gli aspetti sui quali si lavora contemporaneamente: il suono (affidato a Raffaele Bassetti), la qualità  della recitazione, i costumi, il ritmo, l’autenticità. Un testo tanto famoso e rappresentato può spaventare. Si può restare schiavi del fascino o della noia di allestimenti precedenti, si può restare invischiati nel meccanismo perfetto delle battute, nella nostra tradizione teatrale e in mille altre cose, compresa la memoria scolastica individuale e collettiva. Forse lo sforzo più grande è stato quello di tentare di leggere questo testo come fosse stato scritto ora, restituendo agli attori una dizione non perfetta, sporcata da inflessioni dialettali e da coloriture quasi cantate, come immagino potessero fare i grandi attori che lo stesso Goldoni vedeva sulla scena e dai quali rubava e ai quali restituiva un rigore ormai perduto. Abbiamo tentato di uscire da ogni pregiudizio e condizionamento, immergendoci in interpretazioni e prove a tratti sconcertanti. Appena il dialetto, la danza, i burattini sono entrati in scena, le parole hanno preso una vita che ci ha affascinato e che ci è sembrata autentica.
Allo stesso modo si è lavorato con i suoni e con le luci. Non abbiamo mai cercato conferme filologiche o risalenti all’epoca, se non per necessaria documentazione personale e per curiosità. Abbiamo seguito quello che risuonava autentico e che amplificava la nostra adesione e comprensione, avvicinando questo testo alla sensibilità dell’epoca nella quale ci troviamo a vivere.
La distanza del linguaggio, dei costumi e delle abitudini, mai rinnegata, non fa che confermare quanto siano simili i meccanismi di potere, le illusioni e disillusioni d’amore, le difficoltà che si incontrano nel cammino che tutti facciamo verso la libertà e la piena espressione di noi stessi. Grande anche il lavoro condotto nella messa a punto dei personaggi, sull’equilibrio delicato e necessario del limite tra grottesco, maschera e verità  interiore che è sempre necessaria e imprescindibile per un teatro di onestà, passione e necessità”. ?
Quali ritenete siano i temi principali trattati nella Locandiera?
“La Locandiera tratta dell’umano, delle sue aspirazioni e delle sue bassezze. Qui in special modo Goldoni riesce ad affrontare come pochissimi il difficile cammino di una donna verso una condizione se non di libertà almeno di parità nei confronti dell’universo maschile. Più in generale, si può  intravedere anche il tema dell’individuo, a prescindere dal sesso, che cerca di tracciare il suo destino basandosi sulle proprie capacità  e i propri desideri, contrastando come può convenzioni sociali, abitudini e conformismo.
Non viene tralasciato il grande tema del denaro, sempre associato al potere e alla competitività. E come sempre fanno i grandi autori, Goldoni, attraverso credibilissimi ritratti di personaggi sconfitti dalle proprie debolezze e meschinità, riesce a farci ridere di noi stessi mentre crediamo di ridere di loro, e ci permette di fare un passo verso la consapevolezza dei nostri limiti e verso la realizzazione dei nostri desideri più profondi”.

Dall’epoca in cui La Locandiera è  stata scritta da Goldoni sono passati 260 anni: ha tratti di attualità  o modernità che sottolineate?
“L”umano non cambia, cambiano le forme, le abitudini, le società e gli scenari.
Purtroppo o per fortuna tutto è attuale in Goldoni. Sia per quanto riguarda la continua ricerca di amore vero, di espressione creativa del proprio destino, di libertà, sia per quanto riguarda le sconfitte, il rischio di adeguarsi al conformismo, la fascinazione pericolosa del denaro e del potere.

Attuale e moderno è lo sguardo spregiudicato, ironico, sarcastico e allo stesso tempo sognante, compassionevole e dolente di questo grande autore, che racchiude in sé l’arte dello scrittore e quella dell’uomo di teatro, il pensiero e l’azione, l’esperienza e l’intelletto. Attuale non è ciò che parla di fatti recenti ma ciò  che parla – in modo diretto o indiretto, ma comunque forte –  al cuore dell’attore e di conseguenza a quello dello spettatore”. Info biglietteria:0141/399 032 – 0141/399 057

Marianna Natale