FALETTI ALFIERIEntrando in casa Faletti, alcune file di chitarre come segnapassi accompagnano verso il divano rosso del salotto. Una Fender Stracaster del ’65, una Fender Starcaster, una Gibson Les Paul Deluxe, una Melody Maker SG. In tutto sono 15, e la battuta sulla musica non si fa attendere: “Le chitarre sono come le tante donne che non mi hanno corrisposto: le collezionavo sperando di trovare prima o poi quella che avrei saputo suonare bene, ma niente”. E’ dalla musica di Giorgio Faletti, le canzoni scritte per altri e quelle rimaste inedite, che nasce “Da quando a ora”, libro e doppio cd pubblicati da Einaudi. “In questo lavoro c’è il senso del mio percorso. Che è di vita, letterario e musicale. Tre elementi che si trovano uniti insieme in una maniera che mi piace pensare organica, funzionale, come se nella mia mente li avessi intrecciati bene, per confezionarli al meglio”. “Quando” e “ora”, due categorie temporali molto precise, tra passato e presente. E in mezzo, lo iato: l’ictus. A dieci anni di distanza, come mai ha scelto di raccontare anche quel momento? “Ho parlato anche della malattia in questo libro, che sbrigativamente ho definito un’autobiografia. Se non avessi detto che era la storia della mia vita e l’avessi spacciata per una storia comune poteva essere benissimo un altro dei miei romanzi. Ma con una piccola postilla: sono successe cose così strane nella mia vita che se le avessi scritte tutte nessuno le avrebbe credute plausibili, nemmeno nella finzione letteraria. Ho preferito porgere al lettore il racconto con l’imprimatur della verità, senza nascondermi dietro a nessun tipo di artificio. Ormai posso permettermi di sorridere con tenerezza dell’esperienza della malattia. La signora mi ha dato un colpo di falce ma mi sono abbassato in tempo, la lama ha portato via solo qualche capello. Però mi sono misurato con la fragilità umana, la volatilità fisica delle cose che accadono senza preavviso. E’ stata una lezione, una prova che ormai ho superato e mi è sembrato valesse la pena condividerla. A ottobre una ragazza incontrata in vacanza, di professione infermiera, mi ha chiesto l’autografo per una sua paziente, una donna che uscita dal coma ha letto un mio racconto trovando in esso un senso di rinascita. Quando ho saputo questa cosa mi sono sentito potente come Abramovich, avevo la sensazione di poter compare il Chelsea o la Tour Eiffel”. Sono i cd allegati al libro o viceversa? “Il piacere di fare musica è stato pari al piacere di raccontarla. Quando una canzone nasce lascia dietro di sé tutta una serie di effetti che solo in parte sono rappresentati dal gradimento di chi l’ascolta. C’è il ricordo di quando l’hai scritta, l’emozione che l’ha generata, l’idea alla base della canzone. Io non sono un autore di professione, non ho mai scritto canzoni a comando. Mi sono reso conto con grande piacere che raccontare questa cosa mi faceva rivivere quelle emozioni. Massimo Cotto mi ha convinto a trasportare su vinile le canzoni che ancora avevo nel cassetto. Mentre lavoravamo a questo progetto, composto da 20 canzoni, ho pensato che per ognuna potevo scrivere qualche riga per raccontare l’emozione, il sentimento, l’ispirazione. Quando ho iniziato a scrivere ho capito che 20 canzoni sono un mondo, quindi ho percorso a ritroso questo cammino per spiegare le origini del mio rapporto con la musica, nato quando ero bambino”. C’è molta Asti in questo libro. “La mia Asti è la città di provincia di quando ero bambino, nato in una casa di ringhiera. La città spaccata tra diversi rioni. Quando chi abitava in corso Torino non diceva: “Vado in centro” ma: “Vado ad Asti”.  Asti – Torretta era un viaggio, un cambio di clima. Eppure in questa realtà così povera di risorse economiche c’erano una ricchezza intellettuale e una fantasia straordinarie. L’amico di mio padre Armando Rosellini, che cinque o sei anni ascoltavo ammirato mentre raccontava le avventure che aveva vissuto con Tarzan e Pecos Bill: solo adesso mi rendo conto che se avesse avuto la cognizione del suo potenziale creativo sarebbe stato un grande scrittore. C’era anche il musicista del piano di sotto, che lavorava alla Way Assauto, Francesco Mortara. E gente che faceva altri lavori e poi ha creato un’orchestra da ballo. Mio padre era anche lui una specie di musicista, e la cosa che mi colpisce è che, in tutto questo, nessuno pensò mai di farmi imparare a suonare uno strumento. La musica per me è stata a lungo come la bella ragazza dell’altro lato della strada di cui ero perdutamente innamorato ma che non mi filava. Per “Da quando a ora” mi sono limitato a seguire il plot legato alla musica, ma ci sono tantissimi episodi nei miei ricordi che mi fanno ancora venire le lacrime agli occhi dal ridere, o un groppo in gola per la commozione di ritrovare intatte certe emozioni. Poi ci sono state svolte come “Signor tenente”, un momento magico nella mia vita in cui da adulto, e con un’altra chiave, mi sono ritrovato a sentire la voce di qualcuno che mi raccontava una storia con la stessa intensità di Armando Rosellini”. Il testo completo dell’intervista sarà pubblicato sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola venerdì 14 dicembre. Marianna Natale