E’ uscito per l’Editrice Monti di Saronno il volume curato dall’astigiano Luigi Ghia “Se un amore muore” (collana “Vivifamiglia”, pagine 200, euro 12,50), composto da una serie di saggi e arricchito da alcune significative testimonianze sul tema “La Chiesa e i cristiani divorziati”.
Dalla fragilità dei rapporti affettivi, ai riferimenti contenuti nella Bibbia, dalla dichiarazione di nullità del matrimonio ai fedeli divorziati e risposati nella Chiesa, passando dalle riflessioni e dalle proposte della teologia morale e dalle note filosofiche su aporie e questioni lasciate aperte dalla teologia cattolica in materia di divorziati risposati, dalla catechesi pre-matrimoniale delle giovani coppie nell’ottica del “per sempre”. Il volume, che sarà disponibile in libreria a partire dal prossimo mese di gennaio, parte da testimonianze reali di coppie che hanno vissuto la difficile situazione di ricominciare un amore dopo che l’unione precedente si è conclusa.
Abbiamo domandato a Luigi Ghia, sociologo che si occupa soprattutto di famiglia e di lavoro e dirige con la moglie Anna la rivista dei Centri di Preparazione al Matrimonio “Famiglia Domani” (Elledici), da quali premesse è nato questo “Se un amore muore”.
“Per quanto riguarda i cristiani divorziati e divorziati risposati – fenomeno in rapida crescita anche a causa di una diffusa fragilità non solo giovanile – siamo stati interrogati da una situazione di fatto a dir poco contraddittoria, a volte ambigua. A volte c’è – si vedano soprattutto alcuni interventi pastorali molto significativi (tra tutti, in Italia, quelli del cardinal Tettamanzi e del vescovo di Carpi) – una posizione molto misericordiosa e anche molto fraterna nei confronti di chi si trova in questa condizione, con alcuni vincoli però ben precisi, per esempio per quanto riguarda la partecipazione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Si ha spesso l’impressione – le varie testimonianze inserite nel volume lo dimostrano – che si tratti di una misericordia generica, o astratta, e non di un atteggiamento misericordioso capace di tradursi in atti concreti nuovi, anche attraverso un processo necessariamente lento, graduale, prudente. Dall’altro lato c’è il prete buono, comprensivo, conscio oltretutto del fatto che egli stesso potrebbe fallire nel suo ministero, ma poi restare nella Chiesa, sposarsi, avere dei figli, accedere ai Sacramenti. Perché – questa è la domanda che molti nostri interlocutori si pongono – questo non è possibile ad un laico che abbia vissuto un fallimento bruciante nel proprio matrimonio, per poi riscoprire con un’altra persona la capacità di amare nonché la risorsa fondamentale del sentirsi veramente amato? È vero che la pastorale trova una propria soluzione, ma è accettabile un regime di “doppia verità” nella comunità cristiana? Non servirebbe piuttosto un tentativo – sia pure faticoso, calmo, prudente – per identificare i “nodi”, le aporie di una teologia del matrimonio capace di confrontarsi coraggiosamente con la storia umana di oggi e con l’Evangelo di Gesù? Queste sono le ipotesi – o forse sarebbe più opportuno dire le sofferenze profonde – che ci hanno guidato nel progettare questo libro in cui non è presente alcuna polemica, non è stato scritto con iattanza, fatto più di domande che di affermazioni, come si può dedurre dai miei due saggi, quello introduttivo e quello conclusivo, domande di chi si sente perennemente in ricerca ed è conscio di non avere soluzioni facili né verità preconfezionate. Però deciso a cercare, cercare ancora e sempre. Questa attenzione attraversa come in filigrana tutti i saggi dei vari autori”.
Chi sono gli altri autori dei saggi contenuti nel libro?
“Lidia Maggi è pastora della Chiesa Battista di Varese; impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso, si occupa di formazione e, oltre ad aver pubblicato diversi saggi, è responsabile della rivista “La Scuola Domenicale”. Alessandro Girando è un sacerdote della diocesi di Torino che ha conseguito il dottorato in Diritto Canonico presso la “Gregoriana”; docente di Diritto Canonico, è vicario giudiziale aggiunto del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese. Paolo Mirabella ha conseguito il dottorato in Teologia Morale presso la “Gregoriana”; vive a Torino e insegna Filosofia Morale presso l’Università Cattolica, facoltà di Medicina e Chirurgia, sede di Torino-Cottolengo. È inoltre docente di Psicologia della Comunicazione e di Metodologia e Didattica della Religione in alcuni istituti superiori (Rebaudengo, Fossano) ed è autore di numerose e importanti pubblicazioni soprattutto in campo teologico. Francesco Ghia ha conseguito il dottorato in  Filosofia e Teologia  presso l’Università di Bochum (Germania) e attualmente è docente a contratto di Filosofia Morale presso l’Università di Trento: ha al suo attivo numerose pubblicazioni di argomento filosofico-morale e teologico-politico. Guido Ghia ha conseguito il dottorato in  Filosofia e Teologia  presso l’Università di Bochum (Germania)  ed è attualmente ordinario di Filosofia nei licei, scrive soprattutto di argomenti filosofico-religiosi e storico-teologici. Annamaria e Franco Quarta sono stati presidenti nazionali dei CPM e attualmente rappresentano i CPM presso l’Ufficio Famiglia della CEI di Roma: fanno parte della redazione della rivista “Famiglia Domani”. Infine Sergio Nicolli, sacerdote della diocesi di Trento nella quale ha ricoperto importanti incarichi, è stato direttore dell’Ufficio famiglia della CEI e dalla fine del 2009 è decano del decanato di Rovereto (Trento)”.
Tra i diversi saggi ce n’è uno dedicato alle aporie e alle questioni lasciate aperte dalla teologia cattolica in materia di divorziati risposati.
“Il saggio intende mostrare alcuni nodi problematici insiti nella dottrina cattolica in materia di divorziati risposati. Ne vengono individuati tre.
Il primo è la contraddizione, già tematizzata nel primo Novecento dal giuscanonista tedesco Rudoph Sohm, tra l’“essenza della Chiesa”, che è di tipo spirituale e non conosce altra organizzazione sociologico-politica se non una di tipo carismatico fondata sulla legge cristica dell’amore, e il diritto canonico, che nella sua rigida applicazione di norme e correlate sanzioni sembra invece molto spesso creare una antitesi dialettica con il dettato di misericordia suggerito da quella legge cristica. Con questa prima aporia ne va dunque di una questione che, nel suo fondamento verace, è più ecclesiologica che giuridica, chiamando infatti in causa l’immagine e la rappresentazione della Chiesa cristiana.
Il secondo nodo individuato concerne il rapporto mai chiarito del tutto tra diritto canonico e teologia morale. Se è indubitabile che non tutto ciò che ha (o dovrebbe avere) rilevanza in termini di teologia morale non lo ha in termini di diritto canonico – come nel caso di quei peccati gravi come l’omicidio, il furto, la frode o il fallimento che rilevano sì dal versante teologico-morale, ma non necessariamente da quello giuscanonistico in quanto non attengono la sfera giuridico-ecclesiale – la modalità con cui la dottrina cattolica tratta il caso dei divorziati risposati sembra invero costituire un’eccezione, in quanto sovrappone un’applicazione logicamente coerente di un principio giuridico a conseguenze che vengono per lo più percepite come sanzionatorie sotto il profilo teologico-morale.

Il terzo e forse decisivo nodo teologico della questione della posizione dei divorziati risposati nella Chiesa viene infine rinvenuto nell’interpretazione della teologia della Grazia. La formula che meglio esprime, all’interno della teologia della Grazia, il patto di fedeltà e di salvezza tra Dio e gli uomini è, come è noto, quella dell’efficacia della Grazia ex opere operato (in base all’atto compiuto) e non ex opere operantis (in base a chi compie l’atto). In quanto segno della presenza viva e costante dell’agire e operare di Dio nella storia, la Grazia largita ha un carattere indelebile, non può cioè mai perdere di efficacia, perché presupporre il contrario vorrebbe dire presupporre che, anche solo per un istante, Dio cessi di essere Dio, il che ovviamente, prima ancora che blasfemo, è un assurdo logico.  I sacramenti sono pertanto il segno visibile e tangibile della Grazia efficace e indelebile di Dio perennemente valida ex opere operato. Il principio dell’ex opere operato è stato pienamente recepito dalla dottrina cattolica in relazione al sacramento dell’ordine, al punto che neanche in caso di scomunica, sospensione a divinis o riduzione allo stato laicale è previsto, per chi abbia ricevuto questo sacramento, un caso di invalidazione ex tunc analogo a quello invece previsto per la “dichiarazione di nullità” del sacramento del matrimonio.

Il saggio si conclude con il riferimento alle quesioni aperte: se il sacramento è efficace indipendentemente dalla dignità di chi lo amministra e se ministri del sacramento del matrimonio sono gli sposi stessi, fino a che punto è legittimo, per il sacramento matrimoniale, “vincolare” l’efficacia della Grazia alla dignità degli sposi di accoglierne il dono? Quali sposi, poi, potrebbero davvero essere totalmente degni di accoglierlo? Non è la stessa formula dell’ex opere operato a presupporre la fragilità e la debolezza degli uomini? Non sarebbe più conforme alla logica dell’ex opere operato pensare, per i casi di “rottura” del matrimonio e di inizio di un nuovo cammino di coppia, a un percorso simile a quello della dispensa sacerdotale – nei modi e nei tempi che la fantasia e la misericordia della prassi pastorale, a imitazione della fantasia e misericordia di Dio stesso, saprà suggerire?”.

Informazioni: http://www.editricemonti.it/

MN