matteo pianoPrimo astigiano in assoluto a indossare per due volte nello stesso anno la maglia azzurra nel volley maschile: si conclude così l’anno pallavolistico di Matteo Piano, giovane astigiano classe 1990, centrale dell’Altotevere Città di Castello, club con cui milita per la prima volta nel campionato di massima serie. Al nostro giornale ha offerto un bilancio complessivo del 2013. Il suo 2013 ha visto, tanto per cominciare, la vittoria del campionato di serie A2 e la conseguente prima stagione in A1. Come lo definirebbe? “Se dovessi sintetizzare tutto in un aggettivo, il migliore che mi venga in mente è “incredibile”: questo 2013 è stato un anno densissimo di emozioni, che è difficile esprimere a parole e di cui mi aspettavo sì e no un 3%. A differenza del 2012, che si è concluso con una sconfitta in Coppa Italia, quest’anno passato termina all’insegna della soddisfazione, a partire da un buonissimo campionato in A2, la cui vittoria mi ha portato in A1. E’ stato un periodo incredibile, soprattutto perché mi trovo in una squadra che mi piace particolarmente in quanto lascia parecchio spazio ai giovani e ha permesso la nascita di un bel gruppo, in cui molti miei compagni di squadra sono anche amici nella vita. A ottobre è partito il mio primo campionato di serie A1, sicuramente più difficile di quello di A2: nel complesso finora la stagione non è stata male, anche se concludiamo il 2013 con un paio di sconfitte”. Sul suo blog ha scritto un’affermazione interessante: “Il calcio ahimé rimane sempre lo sport più seguito dagli italiani, lo sport che fa passare sempre molti esempi che non mi piacciono molto, lo sport che nonostante la sporcizia delle scommesse delle risse da stadio rimane sempre ai primi posti ovunque”. Che cos’è per lei lo sport e qual è il difetto del calcio? “Posto che lo ritengo un bellissimo sport, che vede protagoniste sicuramente molte ottime persone, il calcio è troppo idolatrato per via del giro di soldi eccessivo che comporta: in poche parole, non possiamo essere tutti calciatori, e soprattutto non per i soldi. Lo sport richiede divertimento, passione e semplicità; sensazionalizzare così un gioco – perché in fondo è tale! – porta a toglierlo dal contesto e a renderlo superficiale: diciamo che in questo modo non lo si può ritenere un’enciclopedia di esempi. Inoltre, i riflettori sono sempre puntati su coloro che vanno allo stadio per sfogarvi i propri mali: è probabilmente solo un 20% dei tifosi, ma fa più rumore, perché lo si vede di più, vittima com’è di un vero e proprio terrorismo mediatico. E’ pericoloso soprattutto perché questa enorme visibilità condiziona negativamente le menti dei bambini, ai quali non sono offerti altri esempi”. Per concludere, anche ricordando le belle parole scritte a riguardo dal ct della Nazionale Berruto, la pallavolo può essere d’esempio? “Direi di sì. Innanzitutto, registra un più alto numero di atleti rispetto agli altri sport; inoltre vince – e ha vinto – molti più titoli, anche mondiali, ma, oscurati come sono da quelli calcistici, in pochi lo sanno. Ma soprattutto, è l’unico sport in cui il gioco di squadra è d’obbligo: si gioca in 12, ovvero anche se si è in panchina, e il passaggio è obbligatorio; il non poter colpire più di una volta la palla educa necessariamente all’agonismo, all’altruismo e alla solidarietà tra compagni”. L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 3 gennaio 2014.  Monica Amendola