E’ capitato a tutti, per un istante, di pensarlo, davanti a un’opera di arte moderna, a un’installazione: un lampo, una veloce intuizione di cui difficilmente riusciamo a comprendere le radici e le conseguenze. “Ma allora proprio qualsiasi cosa può diventare un’opera d’arte”.
Arthur Danto, filosofo americano, ha teorizzato questo concetto analizzando il ready made e ha formalizzato che sì, qualsiasi cosa (dall’orinatoio di Duchamp alle zuppe Campbell’s di Warhol), in determinate condizioni, può diventare un’opera d’arte.
Proprio della filosofia di Danto si occupa un libro uscito recentemente da Carrocci “Arthur Danto: un filosofo pop”, scritto dall’astigiana Tiziana Andina.

All’autrice, che insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, abbiamo domandato come è nato questo lavoro.
“Questo libro nasce da antichi interessi: la mia tesi, 15 anni fa, fu incentrata  sulla lettura che Arthur Danto diede della filosofia di Nietzsche e, più in generale, su come la filosofia americana ha affrontato Nietzsche. Ma mi sono resa conto ben presto che quello di Danto era un sistema filosofico ben più ampio e complesso con un focus sulla teoria della conoscenza e dell’arte.
La ricerca di Danto spazia infatti in diversi ambiti: dall’epistemologia alla filosofia dell’azione, dalla filosofia della storia alla critica d’arte e alle riflessioni sull’avanguardia artistica. Mancava ancora una monografica complessiva”.

Cos’è che in Danto unifica questi ambiti?
“E’ un filosofo analitico molto particolare: a differenza degli altri filosofi analitici Danto non tenta di spiegare un problema specifico ma di dare una visione sistematica del modo in cui gli uomini si rappresentano il mondo e tentano di modificarlo.
Danto, insomma, costruisce un sistema filosofico. Dal suo punto di vista un buon metodo filosofico permette di affrontare qualsiasi problema o qualsiasi autore ma soprattutto comprendere che qualsiasi problema filosofico è interessante”.

Nel libro si legge: “Oggetti comuni che diventano opere d’arte, opere d’arte che vengono scambiate per oggetti comuni, oggetti stra(ordinari) che entrano ed escono dal mondo dell’arte e dai musei senza che in molti capiscano davvero le regole di questo andirivieni. Questo è il nucleo teorico da cui prende le mosse la filosofia dell’arte di Arthur Danto”. Qualsiasi problema filosofico, anche la cultura pop, quindi.
“Anche la cultura pop, esatto. Danto racconta che ebbe come un’epifania, alla Stable Gallery di Manhattan, quando per la prima volta vide nel 1964 i Brillo Box di Andy Warhol. Capì come un oggetto ordinario potesse trasformarsi in arte. Fino a quel momento, la teoria filosofica di riferimento era stata quella di Platone, che nella “Repubblica” relegava l’arte a una semplice mimesis, imitazione di imitazione, copia delle cose e del mondo, a loro volta copia delle idee. Con Danto, che non ebbe paura di misurarsi con la cultura pop e coglierne la portata rivoluzionaria, il concetto di arte si ripensa.
Nel confronto tra le Brillo Box di Andy Warhol e quelle originali, di uso comune, del designer James Harvey, Danto apre questo problema filosofico: come è possibile che un oggetto possa essere due cose diverse, vale a dire un oggetto materiale e insieme un’opera d’arte? E’ una questione di ontologia. L’arte, come il linguaggio, è una rappresentazione della realtà”.

Marianna Natale