Tre domande a… Paola Mastrocola
Tre domande a
Dopo Hans Tuzzi, dal premio Comisso, autore del libro Morte di un magnate americano (Skira), e Marco Polillo, in concorso con Il convento sull’isola (Rizzoli) dal Premio Cortina d’Ampezzo, oggi abbiamo incontrato Paola Mastrocola, autice di Non so niente di te (Einaudi), dal Premio Via Po.
Autrice poliedrica, Mastrocola ha pubblicato raccolte di poesie come La fucina di quale Dio e Stupefatti oltre che numerosi romanzi con i quali ha conquistato svariati premi letterari; è il caso di Palline di pane (Premio Campiello 2004) o di Una barca nel bosco (Premio Alassio Centolibri – Un autore per l’Europa 2004) e molti altri. I romanzi Che animale sei? Storia di una pennuta (2005) e E se covano i lupi (2008) fanno parte di un filone dedicato ai giovani, la sensibilità educativa e l’esperienza didattica della scrittrice si traducono in situazioni narrative nelle quali, il riferimento, spesso graffiante, anche alla realtà della scuola italiana si manifesta in modo evidente come nei suoi saggi La scuola raccontata al mio cane (2005) e Togliamo il disturbo (2011).
Ci può parlare del suo libro in concorso?
“È la storia di un ragazzo che vuole riprendersi il tempo, il tempo per sé, per vivere con calma, pensare, studiare. Al di la delle ambizioni sfrenate, della competitività. Per ottenere questo, lotta contro le convenzioni famigliari e gli stereotipi giovanili, social network compresi. Vuole una vita che sia vera: la sua. A costo di fingere e mentire alle persone più care: lascia credere a tutti di essere andato a Stanford a fare un meraviglioso dottorato in Economia, invece si mette a pascolare pecore, nella campagna vicino a Oxford. “Non so niente di te” è la frase, angosciosa, dei genitori che lo cercano ma non lo trovano. Lui si è reso irreperibile: deve difendere il suo segreto, per trovare la strada giusta, vera. Deve scegliere l’anonimato, e un mestiere povero, comune, contro le aspettative dei suoi, che volevano per lui una carriera di successo. Alla fine inventerà una teoria economica che forse salverà l’Occidente: la Ceiling Theory. Bisogna essere nessuno, e avere il tempo di guardare il soffitto (il cielo, come un pastore!) per creare qualcosa di veramente grande”.
Come descriverebbe l’esperienza dei premi letterari in Italia?
“Ho avuto la fortuna di partecipare a molti premi, grandi e piccoli, con i miei romanzi. Eppure non saprei dire con esattezza come funzionano. A volte mi dicevano che non avrei mai vinto, e in effetti così è stato, a volte invece ho vinto, al di là di ogni previsione, e allora è stata una sorpresa bellissima. Anche un po’ colpevole, come se avessi trafugato un tesoro che non era per me. Il mistero, l’imperscrutabilità è quel che più mi piace, di un premio. Mi mette in uno stato di attesa, e di speranza, un po’ come nella vita, quando ogni giorno ci chiediamo che cosa ci porterà la sorte. Ma di certo preferisco i premi dove sono i lettori a decidere, in base a quel che a loro piace, senza tanti giochini. I lettori sono i giudici migliori, ci premiano con la loro lettura, raccontandosi l’un l’altro i libri, e traghettandoli così, a volte, di là dal nostro tempo, così breve e limitato”.
Conosce gli altri autori coinvolti nel Premio e cosa si aspetta dal Premio Asti d’Appello?
“Conosco pochi scrittori, vado poco in giro. Che cosa mi aspetto dal Premio Asti d’Appello? Be’, intanto mi piace molto trovarci tra secondi: siamo gente che ha mancato la vittoria, che in qualche modo è esente dai trionfi, sempre, per forza di cose, eccessivi e frastornanti. Mi aspetto che sia un’occasione per far rivivere i nostri libri, anche solo un giorno, davanti ai lettori, riparlandone con calma, ridando loro un po’ di attenzione. I libri durano così poco oggi, nascono e subito tramontano. È una giostra che non si ferma. Un premio come l’Asti ci dà modo di tornare un momento indietro, e riascoltare quel che i nostri libri (anche se non vincono!) continuano a raccontare”.
MN
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