Domenica 16 dicembre alle 21 al Teatro Alfieri di Asti, all’interno della stagione 2018/2019, torna in scena uno spettacolo storico di Luciano Nattino, nei giorni in cui si ricorda il primo anniversario dalla scomparsa: “Vanzetti. Il sogno di un emigrato italiano”, con il Teatro degli Acerbi a riportarlo sul palco nel ventennale della compagnia per ricordare il maestro, riproponendolo filologicamente con il cast originale. In scena Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Matteo Campagnoli, Dario Cirelli, Fabio Fassio, Chiara Magliano, Antonio Muraca, Stefano Orlando, Paola Tomalino, Federica Tripodi con le scenografie di Francesco Fassone e i costumi del Laboratorio Stilistico Vezza. Musiche e canti sono stati curati da Chiara Magliano, Paola Tomalino e Tiziano Villata.
Un lavoro scritto e diretto da Nattino e che fu prodotto da Casa degli Alfieri, Teatro degli Acerbi e Asti Teatro 27: ora viene riproposto grazie anche al sostegno del Comune di Asti, della Fondazione CRAsti ed alla collaborazione con “Cuntè Munfrà”.
Commentano gli Acerbi: “Una storia che sentiamo attuale, «da gridare dai tetti», per verificare insieme quanto del passato è ancora stimolo per una riflessione sul presente e sulle sue contraddizioni”.
Scriveva Nattino nel 2015, parlando di questo lavoro teatrale “amatissimo” e pensato, cercato da anni, con il quale lavorava per la prima volta con il gruppo di attori e cantanti del Teatro degli Acerbi: “Quel che sono venuto ad interrogare qui, con questo lavoro su Vanzetti, più che l’utopia, ancorché cara, del piemontese terrigno e volante, è l’erranza, la diaspora, la dispersione come fenomeno costante di questo mondo. Storie di emigrazione, di libertà offuscate, di diritti negati. Se Sacco e Vanzetti, bruciati sulla sedia elettrica nel 1927, hanno una importanza per noi, è perché siamo sempre capaci di ucciderli o di farli vivere.”
Lo spettacolo indaga a fondo, con quella capacità unica di Nattino di ricerca e sintesi poetica, sulle lettere di “Tumlin”, sui suoi scritti, su articoli e atti di convegni, sulla sua biografia (che lui stesso ha scritto) e su diversi materiali inediti. Il tutto anche attraverso allo studio dei documenti presso il Fondo Vanzetti a Cuneo.
La storia di Bartolomeo Vanzetti e dell’assurda peripezia che lo ha visto protagonista, insieme all’amico Nicola Sacco, negli anni ‘20 in America, è uno dei casi più controversi di tutto il Novecento. Bartolomeo e Nicola, infatti, subirono, per le loro idee anarchiche e per la loro condizione di immigrati (italiani, per giunta), un ignominioso processo che li portò, dopo sette anni di ricorsi e rinvii, alla sedia elettrica; capri espiatori di un’ondata repressiva lanciata dal presidente Woodrow Wilson contro la «sovversione», che non solo smosse le coscienze degli uomini dell’epoca (tra cui intellettuali e studiosi), ma continuò come un fantasma ad
agitare l’America per decenni. I fatti sono noti e già “visitati” in letteratura, cinema, teatro, musica (Joan Baez lo cantava nei raduni sterminati).
Una storia mossa da ideali: una terra libera, la fiducia nel riscatto dei più poveri, la lotta… poi la disillusione, addirittura l’arresto, un processo farsa, la condanna a morte. Nattino ha dedicato tuttavia al processo pochi essenziali riferimenti. Come in molti suoi lavori, il punto di vista è quello più popolare: il lato domestico dell’anarchico di Villafalletto, indagando la sua adolescenza, le relazioni, le amicizie, i rapporti con la sorella Luigia, con il padre, con gli ambienti in lotta per la sua difesa, con la giornalista Mary Donovan.
Nello scorrere dello spettacolo, con scene dal taglio cinematografico e continui flashback (“il tempo della memoria, per affinità dei ricordi, con punte in avanti e salti all’indietro”), emergono quel misto di ingenuità e concretezza, di idealismo e generosità, che traspaiono da tutta la vita di Bartolomeo, prima e dopo la sua partenza per l’America: l’adolescenza, le difficoltà nella ricerca di un lavoro stabile, le passeggiate lungo il Maira, le rare amicizie, il suo amore per la natura, per gli umili. E poi l’imbarco, la lontananza, la violenza dei sobborghi statunitensi, il difficile rapporto con gli americani, la triste condizione di emigrato italiano, il suo sogno di liberazione degli sfruttati.
Concludeva Nattino: “Del resto il teatro è anch’esso un luogo dell’esilio, di una sospensione, di una vita da rifare che ti attende; è come essere a Ellis Island (l’isola di fronte a Manhattan dove venivano selezionati gli emigranti) prima di sbarcare a Battery Park: un luogo dell’assenza di luogo. Un luogo non luogo, che è tutto e niente, una sala di attesa e una sala di tribunale. Panchine come inginocchiatoi, coperta della nave, legni del carcere, sedie delle assemblee anarchiche”.
Biglietti 20 euro platea, barcacce, palchi (ridotto 15 euro abbonati rivista Astigiani, 10 euro allievi scuole di teatro), 15 euro loggione (ridotto 10 euro).
Per informazioni e prenotazioni 0141.399057-399040 (biglietteria Teatro Alfieri, aperta dal martedì al giovedì con orario continuato 10,30-16,30), domenica a partire dalle ore 15.
Al Teatro Alfieri si ricorda Luciano Nattino con “Vanzetti – Il sogno di un emigrato italiano”
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