Le Fiamme Gialle astigiane impegnate nella costante opera di contrasto allo sfruttamento del lavoro e all’attività illecita nell’intermediazione di manodopera. Trenta braccianti agricoli di origini africane, cingalesi, indiani e albanesi sono stati sistematicamente maltrattati e duramente sfruttati da una donna con doppia cittadinanza italoalbanese che li faceva alloggiare in anguste dimore fatiscenti e insalubri, costringendoli a dormire su materassi appoggiati al pavimento, a mangiare in ridottissimi spazi comuni e a condividere l’unico bagno a disposizione per entrambi i sessi. L’artefice dei fatti, scoperta dalla Tenenza della Guardia di Finanza di Canelli, avvalendosi di tre suoi connazionali albanesi, anche facendo ricorso talora a intimidazioni e minacce, costringeva persone bisognose, dimoranti in luoghi di rifugio improvvisati, quali stazioni ferroviarie, giardini pubblici o presso la sede della Caritas di Canelli, a lavorare dalle 8 alle 11 ore al giorno. I lavoratori stranieri venivano reclutati per essere impiegati in diverse aziende agricole del basso astigiano e della confinante provincia di Cuneo, in valle Belbo e Val Bormida, dove venivano sfruttati per le coltivazioni vitivinicole, in totale subordinazione e sudditanza psicologica. Alla paga oraria delle vittime dello sfruttamento, che non superava i 6 euro all’ora, rispetto ai 10 euro circa previsti, venivano ancora decurtate le spese per il pernottamento, che si aggiravano tra i 4 e i 5 euro a notte e, talvolta, venivano loro addebitate anche le spese per il trasporto. I braccianti venivano accompagnati dai caporali albanesi i quali provvedevano a impartire loro gli ordini, assegnandoli agli imprenditori agricoli dai quali l’indagata riscuoteva direttamente cospicue somme di denaro. Le indagini coordinate dal Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Asti, Francesca Dentis, portavano i militari della Tenenza di Canelli, coadiuvati da quelli del gruppo di Asti, a eseguire nei confronti della prevenuta un’ordinanza di custodia cautelare in carcere adottata a fronte di gravi indizi per il delitto di caporalato, titolo di reato per cui venivano anche sequestrate somme di denaro e tre autovetture. Il profitto complessivo dei reati commessi dall’arrestata e dei suoi connazionali, calcolato anche con il contributo di personale dell’Inps e dell’Ispettorato Territoriale del lavoro di Asti, ammonta a circa 75.000 euro. I risultati delle complesse investigazioni sono stati raggiunti nell’arco di circa un anno. Sono in corso accertamenti di polizia economico-finanziaria per contestare le irregolarità previdenziali e fiscali di cui si è resa responsabile l’arrestata con la propria attività illegale in danno di ulteriori 82 braccianti.