Il commento alla parola di domenica 1° maggio 2022 (III domenica di Pasqua) a cura di Suor Maria Benedetta del Monastero Cottolenghino “Adoratrici del Prez.mo Sangue di Gesù”
Nel Vangelo di questa terza domenica di Pasqua, incontriamo gli apostoli che pescano invano sul mare di Tiberiade e il Risorto che “sta sull’altra riva”. Gli apostoli sono scoraggiati, in particolare Simon Pietro è segnato dalla desolazione e dal vuoto interiore, al punto di voler ritornare alla sua vita passata: “Io vado a pescare”. Simon Pietro ha dimenticato gli anni passati con Gesù, i miracoli cui ha assistito, la predicazione udita, l’amore che ha sperimentato insieme al mandato che ha ricevuto.
Simon Pietro ha pianto amaramente per aver rinnegato l’Amico. Lui, che è un testardo e che voleva dimostrare ad ogni costo le sue capacità, ora è in crisi.
Nella Passione, Gesù si è mostrato testimone fedele, coraggioso e tranquillo, Pietro invece si è spaventato e in preda alla paura ha rinnegato Gesù.
Gesù si è appoggiato al Padre e quindi ci è apparso forte nel suo atteggiamento di coraggio, di calma e di dedizione, Pietro si è appoggiato su se stesso ed è crollato per la propria presunzione e fragilità.
A questo punto che cosa succede? Quando già era l’alba, Gesù si fa presente e invita gli apostoli a una nuova pesca “miracolosa”, che ha in serbo per loro. In un primo momento, gli apostoli non lo riconoscono. Il Signore si fa vicino e prepara il pasto per loro, rifocillandoli come un’amorevole madre e chiamandoli: ”figlioli”.
Dopo il pasto, il Signore rivolge a Pietro la triplice domanda sull’amore. Il Signore si sente ripetere da Pietro per tre volte che lo ama.
Pensiamo a questo momento: cosa avrà sperimentato Pietro? Lui che ha vissuto il fallimento, il dolore per aver rinnegato e abbandonato il Maestro, ora riceve di nuovo fiducia ed è riconfermato nel suo mandato. Il suo peccato non ha l’ultima parola. Il Signore, quando Pietro gli risponde ”Ti amo”, soggiunge subito “pasci le mie pecorelle”.
Questa domanda il Signore la rivolge oggi, anche a ciascuno di noi: “Tu, mi ami?”.
Sappiamo però che l’amore a Cristo è strettamente legato all’amore per i fratelli: “Nessuno può dire di amare Dio che non vede se non ama il fratello che vede”, dirà S.Giovanni.
Cosa vuol dire questo in concreto? Amare è un lavoro.
L’amore si nutre di bellezza, di attenzione, di delicatezza: un sorriso, un abbraccio, ascoltare ed essere ascoltati, dire e lasciarsi dire.
L’amore, per essere vivo e per crescere sempre più, come dice Papa Francesco, deve cibarsi quotidianamente di queste tre parole: “permesso, grazie, scusa”. Tre parole banali, però fondamentali. È così con Dio e tra di noi: abbiamo bisogno di perdonare ed essere perdonati, abbiamo bisogno di riconoscere l’altro ed essere a nostra volta riconosciuti-ognuno nella sua unicità. Abbiamo bisogno della vicinanza, e nello stesso tempo abbiamo bisogno dei nostri spazi per cui l’altro ci dica: “Posso?”.
Non è facile, è un lungo cammino di conversione quotidiana, a volte doloroso, però dobbiamo credere che è possibile con l’aiuto della Grazia, perché il nostro cuore è fatto per amare Dio e il prossimo.
Questa è la felicità: amare ed essere amati.
LETTURE: At 5,27-32; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19