Se venisse chiesto a una platea chi conosce i Cuav, si vedrebbero poche mani alzate. Eppure i Centri per gli Uomini Autori di Violenza svolgono un ruolo importante per cercare di estirpare la violenza di genere o evitare un’escalation, come spiega Michela Giachetta. Ospite di un incontro organizzato da Cuba Libri a FuoriLuogo, la giornalista bolognese trapiantata a Milano è entrata in questi centri per capire le origini della violenza senza giustificarla. Ed è proprio di questa sua esperienza, raccolta nel libro “I mostri non esistono” (Fandango), che ci ha parlato a margine della presentazione.

Cosa l’ha spinta a occuparsi della violenza di genere focalizzando l’attenzione sui responsabili?

“Tutto è nato dal caso di Giulia Tramontano. Per me la sua storia è stata emotivamente devastante: Giulia era incinta, aveva un’età a metà strada tra la mia e quella di mia figlia, viveva in un paese poco distante da dove vivo io. In questo corto circuito emotivo mi sono chiesta cosa si possa fare per fermare la violenza e ho capito che l’unica soluzione è fermare chi la commette. Da lì ho cominciato a informarmi”.

È arrivata in questo modo ai Cuav?

“Sì, ne avevo già sentito parlare ma solo sommariamente. A differenza dei centri antiviolenza dedicati alle donne, dei Cuav si parla pochissimo. Volevo capire come si lavora con i responsabili della violenza, così mi sono messa a cercarli”.

E si è trovata di fronte a una prima criticità.

“Esatto, perché manca addirittura un elenco di questi centri. L’ultima indagine ha individuato 94 Cuav, diffusi in maniera uniforme su tutto il territorio italiano ma principalmente al Nord. Alcuni sono pubblici, altri privati: il primo pubblico ha aperto a Modena nel 2011, mentre il primo in assoluto è quello inaugurato a Firenze nel 2009. Dopo averli trovati, mi sono messa in gioco anche come donna per capire se effettivamente servono”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 24 gennaio 2025

Alberto Gallo