“Alla fine il Grande Califfato rinascerà, da al-Andalus fino all’Asia”: così avevano detto a Domenico Quirico, prigioniero degli uomini di Jabhat al-Nusra, in un pomeriggio di battaglia ad al-Quesser nel 2013. Quel sogno accarezzato da Abu Omar, il capo del drappello jihadista, che prometteva la costruzione del Califfato di Siria, in questi mesi si è fatto realtà. Una realtà temibile, che il giornalista de La Stampa racconta ne “Il Grande Califfato”, libro pubblicato da Neri Pozza. “Il Grande Califfato non era un velleitario sogno jihadista – racconta Quirico -. Me ne avevano parlato i comandanti delle formazioni islamiste che avevo incontrato in Siria, confermando che si trattava di un progetto a cui tutti stavano lavorando concretamente, giorno dopo giorno. Abbiamo sottovalutato i segnali espliciti che ci mandavano e ci siamo accorti della realtà quando ormai era tardi”. Il piano di cui le parlavo all’epoca è coerente con la realtà attuale del Califfato? “Le intenzioni erano di creare nella Siria occupata da formazioni islamiche il primo nucleo di questo progetto e amministrarlo secondo le regole della della Sharia. Questo nucleo avrebbe dovuto allargarsi, nel tempo all’area e ai territori originari del Grande Califfato del sesto e settimo secolo. L’estensione verso il territorio iracheno è avvenuta perché hanno saputo sfruttare molto rapidamente le occasioni che si sono aperte per loro, ma inizialmente non era nei programmi: si guardava ai paesi vicini come Nigeria, Libia, Somalia, la zona del Sahel. La copertina del mio libro è la cartina che loro stessi hanno disegnato: sono molto abili a cogliere le opportunità e lo fanno con ferocia e determinazione”. Le minacce che arrivano in Europa, la bandiera nera sul Colosseo: che messaggio portano? “L’Europa per loro non è uno spazio di conquista e occupazione. E’ il simbolo di tutto ciò che ritengono nemico, l’Occidente, con cui pensano di dover scendere in guerra brutalmente. I messaggi e le minacce sono pura propaganda. Quello che vogliono fare adesso è allargare e controllare totalmente le loro zone di interesse, e in questo sono estremamente efficaci, strategici nella costruzione tappa per tappa, rapidi nel cambiare gli obiettivi e i bersagli”. Chi è che realmente muove le fila di questa operazione? “Non esiste un cervello, Abū Bakr al-Baghdādī non è certamente quello che fu Bin Laden per Al Quaeda. Questa è una delle caratteristiche più micidiali dell’Isis: c’è una forte impersonalità, non esiste una cupola che prende le decisioni. Se si uccidesse il Califfo non morirebbe il progetto, perché lui è solo un simbolo, una faccia, ma c’è un ingranaggio che funziona molto bene”. Marianna Natale Il testo completo dell’intervista sulla Gazzetta d’Asti in edicola domani, venerdì 27 marzo 2015. Sempre domani, alle 9,30, al polo Universitario Astiss, incontro con Domenico Quirico condotto da Enzo Armando.
Tre domande a… Domenico Quirico
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