“La conchiglia blu”, nuovo romanzo dell’astigiana Elisabetta Raviola è uscito in questi giorni per “LibroAperto” edizioni. Va a comporre una personale “libreria” dell’avvocatessa del Foro astigiano insieme a “E più in alto ancora”, “Come l’acqua di fiume” e alcune favole, tra cui “L’arcobaleno”, opere pubblicate negli anni scorsi. “La conchiglia blu” racchiude la storia di due persone, un artista e un’insegnante, provenienti da mondi molto differenti eppure destinati a incontrarsi. Ancora una storia che oscilla tra la grande città Milano, e la campagna, come nello scorso libro: come mai questi luoghi ricorrono nella sua scrittura? Ci sono motivi personali che la spingono a questo tipo di elaborazione? “Per il nuovo romanzo la scelta della città di Milano è dovuta alla circostanza che il co-protagonista è un artista e ho pensato che potesse avere molte più opportunità di esporre in mostre importanti in una grande città come Milano. In effetti Milano rappresenta sicuramente la grande città italiana anche nell’immaginario collettivo. Non si tratta di “topoi” letterari, semplicemente io stessa, come buona parte dei miei personaggi, mi sento divisa tra città e campagna: la grande città dà opportunità e possibilità soprattutto nel campo creativo, come può essere quello artistico per il protagonista del romanzo, mentre per me la campagna rappresenta il luogo d’origine e le radici che ognuno di noi porta dentro di sé ovunque vada”. Il paesaggio, come in “E più in alto ancora” ha un ruolo importante nella vita dell’artista co-protagonista del romanzo. Un ruolo però combattuto, di odio e amore. Ci può spiegare questo concetto? “Nella vita dell’artista protagonista del romanzo, e nelle sue stesse opere il ruolo del paesaggio è in effetti fondamentale. Tuttavia il protagonista vuole fuggire dal suo paese d’origine, dalla campagna che pare soffocarlo con la tristezza e la malinconia di certi paesaggi autunnali, per rincorrere la fama in città grazie anche al gallerista che ne scopre per caso il talento artistico; soprattutto vuole allontanarsi dai coetanei che non riescono a condividere i suoi interessi e la sua passione per l’arte e la pittura. Eppure, come dicevo prima, anche lui porta con sé le proprie radici e la natura ritorna prepotentemente e quasi inconsapevolmente nelle sue opere tanto che addirittura arriverà ad esporre in un terreno incolto vicino a una discarica abusiva, in cui grazie a quel folle intervento artistico la natura potrà riprendere i propri spazi sconfiggendo così la miseria dell’uomo”. Anche l’arte ha un’importanza cruciale in questa storia, e in qualche modo anche nella sua vita: vuole parlarcene? “Parrebbe scontato che l’arte abbia un ruolo centrale nel romanzo dal momento che il co-protagonista è un artista, tuttavia è stata una scelta consapevole dettata soprattutto dal desiderio di fare un omaggio a me stessa e al mio compagno di vita Piergiorgio Panelli, che insieme all’artista calabrese Martina Codispoti ha realizzato l’opera raffigurata sulla copertina del romanzo. Grazie a Piergiorgio l’arte e la creatività sono entrate nella mia vita e questa volta anche i personaggi del romanzo ne sono stati coinvolti. Insieme all’arte nel romanzo con la protagonista femminile, professoressa di latino, è entrato anche il latino, vago ricordo dei tempi in cui frequentavo il liceo: è nato uno strano connubio tra arte e latino, tra modernità e classicità potrei dire, che spero possa piacere ai lettori”. Marianna Natale Il testo completo dell’intervista su La Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì.
Tre domande a… Elisabetta Raviola
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