“Ho testimoniato”, due parole pesantissime a riassumere con il nitore dell’esattezza l’accorato racconto che Tatiana (all’anagrafe Liliana) Bucci ha condiviso con gli studenti della scuola, la scorsa settimana.
Madre ucraina ed ebrea e padre cattolico, Tatiana, con la sorella Andra, in una notte di marzo del 1944, è stata deportata assieme alla sua famiglia. Da Fiume alla judenramp di Birkenau, passando per la Risiera di San Sabba. “Era un campo di passaggio: per noi ebrei c’erano i campi di sterminio, in Polonia”, ricorda Tatiana. Con lei, oltre i genitori, i tedeschi imbarcano sul vagone piombato anche la sorella Andra (5 anni contro i 7 di Tatiana) e un cuginetto. All’arrivo è fin troppo chiaro come sia l’arbitrio o il capriccio a discriminare i vivi dai morti: “si formano due file, da una parte quelli che moriranno subito nella camere a gas (come la nonna e la zia), dall’altra quelli che, finché saranno in vita, affronteranno i lavori forzati del campo”. “Da quel posto si esce solo dal camino”, aggiunge, intrecciando il ricordo alla citazione del testo di Auschwitz, di Francesco Guccini.
Andra e Tatiana, però, si assomigliano molto e vestono nello stesso modo, su vezzo della madre. “Ci hanno preso per gemelle”, ed è stata la salvezza per le due bambine, divenute oggetto di interesse del dottor Mengele che proprio sui gemelli sfogava gli abomini della sua ricerca eugenetica. Poi venne il tatuaggio “per diventare solo numeri”, o peggio: ein stuck, un pezzo, una cosa. Le soccorre la madre, che fugge di notte dalla sua baracca, per raggiungere quella per gemelli. Ricordare per non perdersi. “Poi un giorno non è più venuta”.
“Non avevo ancora capito di essere una bambina ebrea”, aggiunge, “mi veniva da pensare che fosse quella la vita che avremmo dovuto fare”. Invece no: “siamo uguali come tutti, non so cosa possa essere il diverso, siamo tutti esseri umani”, la criminalizzazione del diverso operata dal Reich è una forma estrema di crudeltà.
Con la sua narrazione asciutta, Tatiana ha avvinto tutti i ragazzi presenti, con la sua mancata indulgenza nella retorica o nell’odio se li è tenuti vicino e stretti e si è concessa di condividere il lusso della bellezza. Tornandoci, in tempi recenti, ha visto la sua prigione sotto la neve, “il bosco di betulle (del campo) è persino bello”.
Intensa testimonianza di Tatiana Bucci agli studenti del liceo Vercelli
SCUOLA E UNIVERSITÀ
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