A volte bisogna avere il coraggio di lanciare i dadi sul tavolo verde. L’assessore alla Cultura Paride Candelaresi sembrava aver fatto qualcosa di simile quando, lo scorso anno, ha promosso il Festival del Medioevo Astese. Poteva apparire un azzardo, una scommessa, ma i risultati di questa seconda edizione hanno confermato che, probabilmente, quel progetto partito quasi per gioco ha saputo intercettare un’esigenza nell’aria.
Il Festival è obiettivamente in crescita. Soddisfatto?
“La città ha risposto bene. C’è stata un’alta partecipazione in tutti gli appuntamenti, anche nei convegni più impegnativi. Non era scontato raccogliere un pubblico di studiosi e di appassionati insieme a quello di cittadini semplicemente curiosi. Siamo contenti, ma non bisogna cadere nell’errore di considerare riuscita una manifestazione solo quando registra grandi presenze. Un’amministrazione ha il dovere di proporre eventi anche per micro-segmenti di pubblico, quando individua un forte interesse”.
A proposito, nei quattro giorni della manifestazione si è avvertito un forte interesse degli astigiani per il Medioevo. È stato risvegliato dal Festival o era già presente?
“C’era già. Tra le proposte arrivate durante gli Stati Generali per la candidatura di Asti a Capitale della Cultura, molte riguardavano il Medioevo e la storia locale. Lì ho percepito l’esistenza di un interesse sopito ma non ancora intercettato organicamente. Il Festival del Medioevo Astese è nato così, con la volontà di trovare un equilibrio tra la dimensione pop e il rigore scientifico. Franco Cardini ha dato l’imprinting al taglio scientifico, ma un grande ringraziamento va al tavolo di lavoro del Festival: Donatella Gnetti, Ezio Claudio Pia, Maresa Barolo e Barbara Molina hanno appoggiato immediatamente l’idea e si sono messi a disposizione. Hanno milioni di argomenti da proporre, è anche grazie a loro se siamo riusciti a coinvolgere altri studiosi di livello nazionale. E poi l’interesse per il Medioevo varia in base alle fasce d’età: se il pubblico più maturo preferisce la storia locale, le generazioni più giovani sono attratte soprattutto dai medievalismi, uno dei temi di quest’anno”.
Come vede il Festival in proiezione futura?
“Vogliamo continuare sulla strada tracciata coinvolgendo altre realtà del territorio, come abbiamo fatto lo scorso anno con Arti e Mercanti o quest’anno con il Museo Diocesano, ma senza fermarci alla dimensione locale. Non dobbiamo chiuderci a riccio, rimarremmo fermi al palo. Del resto, è impensabile raccontare la storia della città senza fare parallelismi. Ho ricevuto diversi feedback di come il Festival stia attirando l’attenzione degli studiosi fuori Asti: significa che le scelte fatte hanno seguito la traiettoria giusta”.
L’intervista completa e altri approfondimenti sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 3 ottobre 2025
Alberto Gallo