E’ un racconto drammatico quello che arriva dall’aula del tribunale di Asti. Una storia di violenza consumata in famiglia che ha portato alla condanna in primo grado a 9 anni di un uomo, zio della vittima.

Ma è un racconto che offre anche una speranza, quella di affidarsi e fidarsi delle istituzioni.

I fatti risalgono al 2013 quando la vittima aveva solo 14 anni. 

Qui la cronaca si fa difficile perché un giorno qualunque lo zio, marito della sorella della madre della ragazzina, sarebbe andato a prenderla a scuola. Poi l’avrebbe accompagnata a casa, un alloggio dove la giovanissima era di casa. Lì si sarebbe consumata la violenza sessuale, un atto brutale di cui preferiamo non scrivere i dettagli per rispettare la dignità della vittima.

Ma la brutalità emerge bene da quello che sarebbe successo nelle ore successive quando la bambina, il giorno dopo, a scuola, avrebbe accusato un malore tanto da essere portata in ospedale dal 118. Avrebbe anche raccontato a due compagne di scuola cosa le era accaduto non tacendo i fatti neanche in famiglia. Ma, e qui arriva un altro dramma, anziché essere supportata sarebbe stata incolpata. Per la madre la responsabilità della violenza sarebbe stata la sua. E in questo clima la giovanissima è vissuta per anni. Fino all’intervento dei carabinieri chiamati per una lite in famiglia scoppiata proprio tra madre e figlia. Lì uno dei militari avrebbe carpito che qualcosa non andava, invitando la giovane in caserma per “parlare un po’”. 

Era il 2020 e solo allora, dopo sette anni dalla violenza, la giovane aveva trovato il coraggio di denunciare cosa le era accaduto.

Sono scattati gli accertamenti della procura che ha ricostruito nel dettaglio la vicenda. 

Il pm Simona Macciò ha prodotto in aula tutti i messaggi che la vittima si era scambiata con il cugino dopo i fatti per evitare lo zio (padre del giovane), pur continuando a frequentare la casa perché quella era la sua seconda famiglia. Ha accertato l’interruzione di ogni rapporto tra vittima e carnefice che prima dei fatti invece era molto stretto. Ha prodotto i verbali del 118 e ha ascoltato le due compagne di scuola che hanno confermato il terribile racconto. 

Un lavoro, quello della procura e del team di parte civile guidato dall’avvocato Davide Arri che, nonostante siano passati dieci anni, ha portato alla condanna dello zio. Nove anni in primo grado con una provvisionale di 100 mila euro e il risarcimento da definire in sede civile.

“Il pericolo sta dove meno te lo aspetti. Questa frase di un libro mi ha accompagnato in questi due anni di lavoro al fianco della ragazza – ha commentato Arri -. E questa storia lo dimostra. Le statistiche parlano chiaro. Il 65% delle donne che subisce un qualsiasi tipo di violenza non ne parla con nessuno. Solo il 7% fa denuncia; una donna su tre ha subito una forma di vioelnza di genere e una su 20 è stata vittima di stupro. Inoltre la violenza domestica è la prima causa di morte tra le donne fra i 15 e 50 anni”.

Dati preoccupanti ma questa vicenda offre anche un senso di speranza. 

“Mi piacerebbe che questa sentenza fosse un’iniezione di fiducia nella giustizia e nelle istituzioni – aggiunge l’avvocato -. La mia speranza è che le donne vittime di violenza imparino da questa storia che capiscano che dalla violenza si può uscire e si può avere giustizia anche a distanza di anni. Quello che mi porto a casa, come professionista e come uomo, sono la forza e il coraggio della mia assistita che ha spezzato questa catena, riprendendo in mano la propria vita. Se non si fa uscire la verità, se non si denuncia, si muore un po’ tutti i giorni. Perché vivere con questo peso non è vivere”.

L’imputato, difeso dall’avvocato Claudia Malabaila, dal canto suo ha sempre negato ogni addebito e respinto ogni accusa. La difesa ha già annunciato il ricorso in Appello non appena verranno depositate le motivazioni a novanta giorni.