È uscito in contemporanea in tutta Europa e diventerà presto una serie tv. “La Malnata” di Beatrice Salvioni, edito da Einaudi, è la storia di un’amicizia indissolubile che spinge due ragazzine a ribellarsi all’ingiustizia nel gretto conformismo dell’Italia fascista.

Nata a Monza, Salvioni ha 28 anni e su Instagram si chiama pescebanana, come un racconto di Salinger, “Un giorno ideale per i pescibanana”. Salinger nella sua vita è importante: ha studiato alla Scuola Holden di Alessandro Baricco, si è diplomata nel 2021, quando ha vinto il Premio Calvino con il racconto “Il volo notturno delle lingue mozzate” ed è stata notata in fretta da diverse case editrici. Anche quella era una storia lontana, senza ombra di autofiction: un folk horror.

“La Malnata” è stato presentato sabato alla Piccola Libreria Indipendente, con un centinaio di persone accorse per il primo esperimento che univa la presentazione e la discussione del bookclub della libreria, che si riunisce una volta al mese.

“È la prima volta che il romanzo di un’esordiente italiana esce in contemporanea in tutta Europa – ha spiegato Vittoria Dezzani, proprietaria della libreria e compagna di studi dell’autrice alla scuola Holden, durante l’incontro -. Beatrice ha incantato gli editori di tutto il mondo e il suo romanzo è già stato tradotto in 23 lingue. Per questo l’ho scelto come quinto libro del nostro bookclub”.

La storia è ambientata a Monza nel marzo 1936: sulla riva del Lambro, due ragazzine cercano di nascondere il cadavere di un uomo che ha appuntata sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore. Sono sconvolte e semisvestite. È Francesca a raccontare in prima persona la storia che le ha condotte fino a lì. Dodicenne perbene di famiglia borghese, ogni giorno spia dal ponte una ragazza che gioca assieme ai maschi nel fiume, con i piedi nudi e la gonna sollevata, le gambe graffiate e sporche di fango. Sogna di diventare sua amica, nonostante tutti in città la considerino una che scaglia maledizioni, e la disprezzino chiamandola Malnata. Ma quella sua aria decisa, l’aria di una che non ha paura di niente, la affascina.

Sarà il furto delle ciliegie, la sua prima bugia, a farle diventare amiche. Sullo sfondo la guerra di Abissinia, il dolore per la perdita e gli scompigli dell’adolescenza, Francesca impara con lei a denunciare la sopraffazione e l’abuso di potere, soprattutto quello maschile, nonostante la riprovazione della comunità. Grazie a lei trova il coraggio di far sentire la propria voce e la propria verità anche in una provincia padana oppressa dal controllo, dal sessismo e dalla violenza del Ventennio.

Beatrice, da quanto tempo si porta dietro Francesca e Maddalena?

Francesca, la narratrice e Maddalena, la malnata, sono figure archetipiche. Scrivo di loro da quando ero appassionata di vampiri. Sono state streghe cavalcatrici di draghi, assassine in mondi distopici e sono cresciute insieme a me. Una è coraggiosa e disubbidiente, l’altra è rispettabile, ma paurosa e insicura. Va a messa costretta dalla madre e dal ponte vede l’altra giocare con i maschi le gambe nude e sporche. Maddalena non ha vergogna e le insegna un modo diverso di vivere il proprio corpo, ma Francesca è assolutamente necessaria perché le insegna come si fa a non essere soli.

Come mai ha deciso di ambientare il suo romanzo proprio nel fascismo?

Me lo chiedeva sempre anche la mia insegnante alla scuola Holden. Mi diceva “rendilo più moderno”. Ma il nucleo della storia è la scoperta della propria identità e della propria voce, quindi il periodo del fascismo nei primi anni ‘30 – maschilista, sessista e imperialista ancor più che razzista – è perfetto. In classe c’erano il crocefisso e l’immagine del Duce. Le due protagoniste conoscono solo quella realtà. E poi, come dice Umberto Eco in “Fascismo eterno” se il fascismo dovesse tornare tornerebbe con piccoli passi e toni sommessi, ma sempre con l’idea di indicare lo sbagliato e lo scomodo. Quindi questa storia parla anche all’oggi, alla politica e ai ragazzi.

Quanta ricerca è servita per raccontare Monza, che è la sua città, nel passato?

I percorsi di Francesca sono i miei percorsi dell’infanzia. Li ho adattati ascoltando i racconti dei miei nonni, che però cercano sempre di edulcorare le storie di quel periodo. Quando uscire di notte con il coprifuoco diventava un’avventura picaresca e donchisciottesca. O quando non potevano prendere il treno perché le linee ferroviarie erano la prima cosa che veniva bombardata, ma loro dovevano andare a tutti i costi in viaggio di nozze al lago. Mi hanno raccontato la leggerezza e insieme la tenacia di vivere per forza, nonostante la tragedia nella vita quotidiana. Poi ho letto saggi come “1000 lire al mese” e ho usato moltissimo l’Archivio del cittadino online di Monza, dove si trovano tutte le edizioni del giornale degli anni ‘30. È qui che ho trovato, per esempio, la descrizione della giornata della fede, quando aveva appena nevicato e tutte le donne vennero chiamate a offrire su un altare la propria fede nuziale per finanziare la guerra in Etiopia.

La storia condanna tutti gli stereotipi: i maschi che devono essere duri e apatici e le femmine che devono essere vergognose e impaurite. È l’infanzia il tempo in cui tutti sono amici, maschi e femmine, figli di fascisti e comunisti come Filippo e Matteo?

La famiglia di Francesca le dice che non sono uguali, ma alla malata non importa. Invece tutti sono convinti che gli uomini debbano andare in guerra, mentre le donne devono essere forti per dare figli sani al regime. Paradossalmente, Maddalena è più libera degli altri proprio perché è ostracizzata dalla società. Tutti si fanno il segno della croce e sputano quando passa, pensano che porti sfortuna per i due incidenti avvenuti al padre e al fratellino. In questo modo però lei ha uno sguardo più lucido sulle norme e le crepe della società, sui giudizi della gente. È più matura della sua età. L’infanzia le è stata negata e ha una grande consapevolezza del potere delle parole.

Nel romanzo le madri non fanno una bellissima figura. Quanto è forte la dimensione autobiografica?

Nel romanzo si parla tantissimo di corpi. Francesca piange per un taglio alla guancia, non tanto per il male, quanto per la paura di non essere più bella e del giudizio della madre. Hanno 12 anni e i corpi iniziano a cambiare. Oggi è lo stesso e questi sono punti cruciali della crescita, soprattutto femminile. Le madri fanno una pessima figura, ma lo fanno solo per salvarsi, non sono eroine (anche se la mia è bravissima). Non ho mai messo una persona reale al 100% in una storia, ma io e le persone con cui sono cresciuta ci sono in parte in ogni personaggio, anche quelli che odi e disprezzi di più. Le due madri sono fragili e detestabili ognuna a modo suo. Quella di Francesca è ossessionata dall’etichetta e dalla reputazione e l’ha cresciuta piena di paure. Lei però in primis razzola male: giudica tantissimo e cerca la salvezza dal suo matrimonio e dalle sue delusioni con un altro uomo, che risponde all’ideale del perfetto fascista. Quella di Maddalena al contrario fa pena. Le è rimasto solo il figlio maggiore Ernesto, fa sentire in colpa la figlia e finge che non esista nel tentativo di salvarsi dai lutti che ha subìto.

C’è anche tanta fede. Qual è il suo rapporto con la religione?

Sono credente, nonostante sia cresciuta in una scuola di suore in cui la religione era rappresentata soltanto come paura del peccato. Per questo volevo sottolineare la differenza tra religione di facciata, religione di paura e fede profonda, come quella di Ernesto.

Il romanzo è definibile di formazione, ma anche di iniziazione. Quali sono i suoi modelli?

In parte “L’amica geniale” di Elena Ferrante, in parte “Ragazzi di vita” di Pasolini” e “L’isola di Arturo” della Morante. Ma le mie protagoniste non si odiano mai, il loro rapporto è sempre genuino e alla pari. Vedo il tradimento come un elemento più maschile e biblico. Qui invece si sceglie di non ascoltare le imposizioni dei grandi in un percorso di stupore e liberazione. Il rapporto di Francesca e Maddalena è carnale e intenso: è un colpo di fulmine che sta a metà tra l’amore, l’ossessione e l’amicizia. Si scelgono per la prima volta quando credono ancora di non poter camminare da sole, ma insieme si salvano e imparano a badare a loro stesse. Maddalena è una strega, profetizza sventure, e tutti la temono per il potere della parola. Per questo se dovessi indicare la mia maggiore fonte di ispirazione sceglierei Michela Murgia. Tra coincidenze e suggestioni, anche gli uomini sono figure mezze magiche. Alcuni sono orchi mangiafuoco, altri sono belli e affascinanti, ma falsi. I più forti sono quelli che capiscono che c’è un altro modo di essere coraggiosi: battersi per la giustizia e avere uno sguardo libero e gentile.

Tra poco inizieranno le riprese della serie tratta dal suo libro. Sta già pensando a un seguito?

In anteprima: sì!

Elena Fassio