Nel 1985 nasce l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Asti, con la legge 222 del 20 maggio di quell’anno. “Leggere” questi 35 anni attraverso numeri e contabilità è estremamente riduttivo e rischia di far apparire astratto un cammino che ha segnato profondamente la storia della Chiesa in Italia con cambiamenti epocali.

L’Idsc si occupa innanzitutto della “gestione dei sacerdoti” della diocesi. L’Art. 2 dello Statuto recita: “provvede, ove occorra, all’integrazione, fino al livello fissato dalla Conferenza Episcopale Italiana, della remunerazione spettante al clero, che svolge servizio a favore della diocesi, per il suo congruo e dignitoso sostentamento”. Ciò viene effettuato tramite la redazione, per ogni singolo prete (compresi quelli inabili), della scheda P.O.1 (Provvedimento dell’Ordinario) che riporta gli incarichi del sacerdote con le relative remunerazioni base garantite dall’ente presso cui è prestato il servizio (parrocchia, seminario, santuario…), il punteggio attribuito in base all’età, agli incarichi, alle responsabilità, generando così una specie di busta paga il cui importo netto, al quale sono state detratte le ritenute fiscali, sarà erogato dall’Istituto Centrale (che raccoglie gli utili degli Istituti di tutta Italia, le Offerte Deducibili e l’8X1000) con accredito mensile sul c/c del sacerdote.

L’Idsc. si occupa della “gestione del patrimonio”. Bisognava fin dall’inizio (1984) individuarlo, conoscerlo, inventariarlo e informatizzarlo: una ricerca dei beni sparsi in oltre 75 comuni della diocesi. Don Alessandro Quaglia raccontava di quel periodo: “Furono anni di intenso lavoro, con giornate intere passate nell’ufficio allora al piano terreno della Curia; si è iniziato con la compilazione di schede multicolori inviate da Roma per conoscere la frequentazione alla Chiesa, le offerte delle varie comunità, la consistenza degli enti beneficiali (ex Benefici Parrocchiali). Sono stati individuati, parrocchia per parrocchia, i beni di loro competenza, sfogliando centinaia di pagine presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e il Catasto Fabbricati e Terreni. Tutti furono intestati, mediante Decreto Vescovile trasmesso agli uffici civili competenti all’Idsc, previa soppressione di tutti gli Enti estinti. Con altro Decreto Vescovile si sono ritrasferiti dall’Idsc agli Enti Parrocchia i beni di uso pastorale, come le case canoniche, gli oratori, i campi da gioco”.

Il patrimonio dell’Idsc è così costituito essenzialmente dai beni appartenenti ai benefici ecclesiastici già esistenti nella diocesi, derivati soprattutto da antichi lasciti e donazioni: alle origini un patrimonio di scarso reddito per la vetustà e fatiscenza di buona parte degli edifici e per le scarse rendite legate all’agricoltura. Da questa costatazione è partito il Consiglio di Amministrazione  migliorando il patrimonio con la ristrutturazione, il risanamento e la valorizzazione degli immobili esistenti. Alcune vendite hanno generato i primi introiti da destinare alle migliorie. Il tutto volto ad una migliore resa, in quanto per Legge e per Statuto i proventi della gestione economica dei beni dell’Idsc concorrono esclusivamente al sostentamento del clero.

L’Idsc si occupa anche dell’“amministrazione del patrimonio”. L’ufficio è sito al 1° piano del Palazzo Vescovile e in esso lavorano: il Presidente del Consiglio di Amministrazione, attualmente don Claudio Berardi, con i sei consiglieri, un dipendente in qualità di segretario a tempo pieno, volontari che mettono a servizio la loro esperienza e professionalità e alcuni consulenti esterni che all’occorrenza vengono interpellati. Il Consiglio di Amministrazione amministra le unità urbane con circa 75 locazioni e le conseguenti registrazioni, riscossioni affitti, manutenzioni (comprese beghe varie di vicinato, danni, lamentele, discussioni…), i terreni con circa 200 contratti di affitto, i pagamenti Ires, Irap, Imu, Tasi… e infine i rapporti con le varie amministrazioni pubbliche e terze parti.

Questo sistema che da 35 anni coinvolge la gestione del clero italiano ha sicuramente eliminato le difformità generate in precedenza dalla congrua, che vedeva sacerdoti “ricchi” (con potenti benefici parrocchiali) e altri che tiravano avanti a fatica: ora a tutti è garantito un importo dignitoso.

Inoltre l’Istituto tiene conto delle necessità di tutti coloro che per qualunque motivo (anzianità, malattia, disabilità o altro) non sono più abili o addirittura autonomi integrando i loro bisogni con diversi strumenti (Sistema di Previdenza Integrativa, Assicurazione Sanitaria…).

E’ un Sistema che ha all’origine l’idea che una quota base deve essere garantita dalla comunità di fedeli ed è integrativo ad altri introiti del sacerdote stesso (stipendi o pensioni computabili di insegnamento, cappellania ospedaliera, carcere…).

Emergono però chiaramente alcune perplessità su come questi 35 anni sono stati vissuti dal popolo di fedeli: le offerte liberali nazionali (unica uscita diretta dalle tasche degli offerenti) nel 2019 coprivano il 2,2% del fabbisogno e i patrimoni degli Istitutinon arrivavano a pagare due mensilità annue (8,6%): l’89,2% è stato così sottratto all’8 per mille. Se in futuro quest’ultimo venisse messo in discussione, la remunerazione del sacerdote verrebbe ridotta dell’80%. Informare e coinvolgere con trasparenza le comunità è un dovere etico, oltre che amministrativo.

> Il presidente, Don Claudio Berard