Continua il diario del nostro vescovo Marco Prastaro in vacanza (si fa per dire) nelle terre del Kenya che l’hanno visto impegnato per ben tredici anni come missionario Fidei Donum. Panorami e animali, ma soprattutto impegno episcopale con incontri, liturgie festose e anche cresime e prime comunioni.

Lunedì 15 luglio

Iniziamo con la messa alle ore 6,00 al seminario Minore. Sono 327 ragazzi della scuola superiore, stipati in una chiesa pensata per 250 persone. Si sono alzati alle 4,00 e dalle 4,15 sono in aula per ripassare e studiare. La chiesa è piuttosto buia e le uniformi marrone scuro dei ragazzi la rendono ancora più buia. Si muovono e cantano in modo ordinato e solenne.
Dopo messa il rettore ci invita a colazione, andiamo nel refettorio dei padri. È stato ristrutturato di recente e, a differenza di un tempo, ti da il senso del pulito e ordinato. A tavola parliamo un po’ della vita del seminario e il rettore ci segnala la fatica che fanno a tenere 300 ragazzi disciplinati. Nel contempo segnala come, nonostante abbiano tutti frequentato il catechismo per il battesimo, comunione e cresima, spesso non abbiano proprio idea di cosa sia la fede.
Sono le nove quando, dopo aver salutato lo staff della curia, riusciamo finalmente a partire per Baragoi.
Per strada incrociamo padre Dominic, il primo prete Samburu, anche lui ordinato nel 1988. Lo trovo bene, un po’ dimagrito, ma avendo il diabete la cosa va bene. Mi saluta calorosamente, poi mi squadra con il suo sguardo quindi mi dice sorridendo: “Ti sei conservato semplice, bravo!”.
Ci fermiamo a Morijio per lasciare la tanica dell’acqua. Qui c’è una buona sorgente ed il vescovo Pante vi prende l’acqua che beve in casa. Il viaggio riprende, nella lunga pianura ormai spopolata a causa degli scontri tribali fra Samburu e Turkana. Mi fa sempre impressione passare di qua, viaggi per più di un’ora senza incrociare un essere vivente: gli uomini sono scappati per l’insicurezza, gli animali non ci sono più perché sono stati tutti uccisi e mangiati. Mi emoziona ancora una volta il paesaggio, questa lunga e infinita pianura della savana, in questo tempo dopo le piogge tutta verde e rigogliosa. Sul fondo si intravedono le montagne che fanno da corona al paesaggio e poi la strada rossa della terra d’Africa che l’attraversa come un lungo ricamo.
Alle 12,30 arriviamo a Baragoi, dopo aver percorso 90 km di strada. Ci attendono padre Giuliani e padre Roberto, Missionari della Consolata. Giuliani lo trovo un po’ invecchiato, d’altronde ha 79 anni, ma è vivace come un tempo, con la sua folta capigliatura bianca, i pantaloni corti e le ciabatte aperte. Vive a Sererit, nella foresta, in una casa provvisoria. La sua macchina è attrezzata come una casa viaggiante. È lui che mi insegnò a usare la radio trasmittente con cui nei primi anni comunicavamo fra le missioni e quando eravamo in viaggio, poi arrivarono i telefonini e la vita cambiò per tutti.
Padre Roberto è stato per tanti anni direttore al centro pastorale. È lui, con i suoi incontri ciclici nelle parrocchie, con i suoi sussidi e iniziative pastorali che ha fatto crescere in tutte le parrocchie la consapevolezza gioiosa di appartenere ad un’unica diocesi. È stato anche vicario generale negli anni prima di me. Ora da più di 10 anni è parroco a Baragoi, una realtà difficile e complessa, dove si incontrano e “convivono” i Samburu ed i Turkana, due tribù che spesso e volentieri sono in guerra fra loro per i pascoli e le fonti di acqua con cui far vivere il proprio bestiame. Qui la situazione è sempre stata incerta, basta poco perché gli animi si riscaldino e vi siano dei morti. La Chiesa ha fatto molto, anzitutto aiutando chi era nel bisogno senza badare alla tribù di appartenenza, facendo progetti di sviluppo a beneficio di tutti, poi con una continua educazione alla convivenza e alla pace. Certo a volte bisogna ricominciare tutto daccapo, ma la diocesi non ha mai lasciato perdere.
Nel pomeriggio padre Roberto ci porta a vedere un progetto col quale ha dato lavoro ad alcuni giovani. Hanno creato un forno dove tutte le notti producono pane che poi vendono in città, sembra che anche gli anziani lo apprezzino e vendono sempre tutta la produzione.
Rientriamo poi in casa e chiacchieriamo a lungo, non solo ricordando “i vecchi tempi”, ma soprattutto riflettendo sul futuro di questa Chiesa e del Vangelo in queste terre. P. Roberto è anche preoccupato per il futuro della sua congregazione che si trova a dover esprimere il proprio carisma, nato sulle colline di Castelnuovo, in una cultura e con modalità diverse e nuove. Sfida non facile.
A cena andiamo dalle suore, sono in 3, una insegna nella scuola pubblica, una è infermiera nel dispensario, infine la più giovane è maestra nell’asilo parrocchiale. Appartengono ad una congregazione Keniana che ha sempre considerato questa zona come una nazione straniera in cui inviare in missione le proprie suore.
La suora della scuola ci racconta che per tutto questo trimestre non è mai arrivato il cibo per dare il pranzo ai loro alunni, ne hanno 1200! Deve esserci un problema politico o molto più probabilmente qualcuno si è impossessato del cibo per arricchirsi, lasciando i ragazzi a pancia vuota.