“Confini, zone di contatto e non di separazione”. Si può prendere in prestito il titolo del convegno delle Caritas Diocesane che si è svolto a Grado per spiegare il senso del progetto “Ben-Essere” che coinvolge la Caritas e la casa di reclusione di Asti, grazie al finanziamento dei fondi per l’8×1000 e di Intesa San Paolo.

Un’iniziativa per lavorare   e per ridare speranza a chi non ha speranza, per dirla con le parole del direttore della Caritas diocesana Beppe Amico, capofila del progetto il cui ente gestore è invece l’associazione Effatà che con i suoi volontari lavora nel penitenziario da molti anni. Una zona di confine che diventa, invece, luogo di incontro e solidarietà.

Molteplici gli obiettivi del progetto: “Migliorare le condizioni di salute fisica e mentale dei detenuti coinvolti, assicurare a tutti l’opportunità di apprendere e di elevare il proprio livello culturale, creare condizioni concrete di accesso al lavoro”, ha spiegato Daniela Borsa, coordinatrice dell’iniziativa. Tutto è partito da una domanda: come possono andare insieme i concetti di giustizia e misericordia. Una domanda che un territorio su cui insiste un carcere, anzi una casa di reclusione con persone detenute ad alta sicurezza, si deve porre. “Dobbiamo ragionare su questo quesito e dare risposte come questo progetto – ha commentato il vescovo Marco Prastaro -. La giustizia senza misericordia è disumana. Questo stimola un’ulteriore riflessione, quello della misericordia legata a una seconda possibilità che offre l’opportunità di riflettere sulle scelte sbagliate che hanno portato alla detenzione. La dignità di una persona, anche di ha sbagliato gravemente, non può mai essere messa in dubbio”.

Il progetto ha come primo obiettivo quello del lavoro. “In una struttura dove la maggior parte dei detenuti non può uscire perché non può accedere alle misure alternative è importante che sia il lavoro a entrare dentro”, ha spiegato Giuseppina Piscioneri, direttrice della casa di reclusione di Quarto. 

Così grazie alla collaborazione di alcune realtà che già sono attive nel penitenziario come il consorzio Coala e la cooperativa La strada si sono attivate delle nuove opportunità lavorative per i detenuti. Alcuni di loro verranno assunti fino a dicembre (questa la durata del progetto, ndr) e verranno inseriti ad esempio nel progetto di orti e frutteti che già esiste all’interno della struttura. “Ma cerchiamo aziende che possano collaborare con noi”, ha aggiunto Borsa.

L’iniziativa però si allarga anche ad altre prospettive. “Abbiamo contatto alcuni artisti astigiani che entreranno in carcere per dipingere e abbellire gli alti muri grigi delle sezioni”, ha continuato. 

Ci sono poi la salute psicofisica delle persone detenute che il progetto Caritas vuole salvaguardare attraverso il sostegno psicologico dei detenuti e l’aspetto culturale con la creazione di attività che possano favorire la creatività con l’uso di sale hobbies di cui il carcere è dotato.

Ma in carcere, forse non tutti lo sanno, si studia. Sono attivi percorsi con il Cpia e l’istituto Penna e anche con l’Università degli studi di Torino. Ma studiare in carcere non è facile, così l’iniziativa prevede che i detenuti studenti possano venire affiancati da volontari, con alle spalle un percorso di studi simile, che li aiutino nel percorso formativo.

“Tutti i volontari che prenderanno parte al progetto verranno formati e parte dei contributi da noi ottenuti verranno investiti proprio su questo versante”, ha spiegato Maria Bagnadentro, presidente dell’associazione Effatà.

Contributi che come abbiamo detto in parte arrivano dall’8×1000 alla Chiesa Cattolica e in parte dall’istituto Intesa San Paolo.

Solo quattro diocesi del Piemonte hanno ottenuto finanziamenti per questo progetto.

“Siamo molto felici di aver contribuito a questa iniziativa – ha precisato Marco Torelli, responsabile della filiale terzo settore di Asti di Intesa San Paolo – perché è rispondente a una delle nostre mission: essere attenti all’impatto sociale”.

L’altro finanziatore siamo noi, quelli che con la dichiarazione dei redditi donano il proprio 8X1000 alla Chiesa Cattolica.

“L’8×1000 ha tre obiettivi: sostenere le spese di culto, la carità e il sostentamento del clero – ha piegato don Maurizio Giaretti, incaricato diocesano per il sostegno economico della Chiesa -. La carità è al centro e sta al centro delle nostre azioni. Puntare sulla carità è fondamentale e risponde anche al mettere in pratica il sogno di papa Francesco, “Una Chiesa povera per i poveri”, una Chiesa, cioè, che raccoglie e distribuisce in maniera equa, intelligente e sensata”.