Cento giorni da vescovo della Diocesi di Asti. Monsignor Marco Prastaro in occasione di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, di fronte alla stampa locale, ha tracciato un primo bilancio del suo percorso. Settimane fatte principalmente di incontri con le autorità, con enti, associazioni, gruppi e realtà della nostra chiesa. Monsignor Prastaro ha visitato personalmente tutte le zone pastorali, vedendo molte parrocchie e incontrando tutti i sacerdoti. “Sono stati mesi di conoscenza”, ha spiegato Mons. Prastaro. In particolare il vescovo ha riscontrato alcune criticità della Chiesa locale, che riflettono quelle di una società sempre più anziana.

L’età del clero e il riassetto della diocesi

L’età del clero è sempre più alta, come è avanzata l’età dei fedeli che vanno a messa. “Le teste che scorgo fra i banchi durante le messe sono sempre più bianche – ha spiegato il vescovo -. Qualche settimana fa sfogliavo i giornali locali e prima di vedere una foto con dei ragazzi sono dovuto arrivare alle pagine di musica e a quelle di sport. E’ solo un esempio ma è esplicativo.
“Nella nostra Diocesi anche i numeri raccontano questa criticità. I preti diocesani sono 71 e 36 di loro hanno già compiuto 70 anni, di contro a un solo giovane seminarista”, ha precisato mons Prastaro. Le parrocchie nella nostra Diocesi sono 129 e il sacerdote più anziano, don Luigi Boero, parroco di Soglio, ha 91 anni.
“Questo conduce inevitabilmente ad alcune riflessioni come quella legata al riassetto organizzativo della diocesi. Bisognerà quindi valutare l’unione di più parrocchie sotto la guida di un uno stesso parroco come già è stato fatto in passato. Una scelta difficile e dolorosa ma inevitabile”, ha continuato il vescovo.

Il significato della Chiesa

In secondo luogo, bisogna lavorare anche a ripensare al significato di Chiesa, a cosa vuole dire davvero parlare di Chiesa oggi, a che volto assumeranno le nostre comunità, che tipo di ministero i nostri sacerdoti dovranno svolgere, quale dovrà essere il ruolo dei laici”.
“Oggi la Chiesa è connessa principalmente a due concetti. Quando si dice Chiesa si pensa a Papa Francesco, alla sua apertura e ai suoi messaggi, una figura positiva, ariosa, attraente. L’altra immagine che ricorre sui giornali è quella legata ai preti pedofili. Ma in mezzo a questi due estremi esiste l’intermedio, quello che è la vera chiesa. Non si parla mai di chi con la propria scelta di fede e di vita diventa esempio, chi traduce nel concreto della sua esistenza, delle sue relazioni e del suo lavoro il Vangelo ed i messaggi del Santo Padre. Non si parla mai dei preti cristiani che vivono la propria fede con coraggio, in realtà difficili, non solo nel Terzo Mondo ma anche vicino a noi, occupandosi delle specifiche problematiche del territorio in cui vivono.
Come dice papa Francesco “alla fede si giunge per attrazione e non per proselitismo” e quindi c’è bisogno di parlare di buoni esempi e di questi eroi e di come non solo i singoli ma anche le comunità mettano in pratica nel concreto il Vangelo”, ha continuato. Questa per don Marco Prastao è la vera sfida della Chiesa oggi.

Il calo delle vocazioni

Anche la nostra diocesi vive un calo delle vocazioni. Il fenomeno è legato alla cultura del nostro tempo e riflette ancora una volta quello che è la società. Il dato oggettivo è che i giovani faticano sempre di più a fare scelte definitive. “Questo si rispecchia anche nel calo dei matrimoni a dispetto delle convivenze; il procrastinare scelte sul “lungo termine” incide quindi anche sulla crisi vocazionale”.

L’immigrazione e il decreto sicurezza

Fra i momenti più significativa vissuti ad Asti da Mons Prastaro, ordinazione episcopale e ingresso come nuovo vescovo a parte, “un inaspettato bagno di folla, per dirla con le parole del vescovo Prastaro” è da citare la messa dedicata ai migranti e celebrata a pochi giorni da Natale a Castello di Annone. Rispondendo a una domanda del pubblico monsignor Prastaro ha parlato di migrazione e decreto sicurezza.”Già il fatto che le nuove normative sull’immigrazione siano state inserite in un decreto che porta la parola sicurezza la dice lunga – ha detto il vescovo -. La questione del linguaggio riulta fondamentale nel trattare questo tema, come è emerso anche dall’ultimo rapporto Migrantes. Sui giornali e nei tg sentiamo parlare di invasione, ad esempio, ma i numeri forniti spesso direttamente dal Ministero, smentiscono questo. Si parla di invasione islamica e invece la maggior parte dei migranti sono principalmente cristiani”.
Il vescovo ha poi parlato del sistema accoglienza. “Asti ha optato per un’accoglienza diffusa, con pochi migranti ospitati in piccole comunità per permettere un modello di integrazione migliore.
Ora questo rischia di sgretolarsi sotto il peso delle decisioni del Governo. Basterebbe accettare, i migranti in quanto esseri umani, fratelli, per interrompere una catena di sfruttamento che parte dal colonialismo, passa per la mercificazione della disperazione e arriva fino alla politica che strumentalizza la questione a scopi elettorali”, ha detto.

Asti e gli obiettivi futuri

Tornando ai 100 giorni alla guida della diocesi il vescovo ha osservato una realtà molto viva, con potenzialità umane e sociali molto diffuse che soffre la problematica del lavoro, ma che sta cercando di ritrovare un’identità precisa di crescita dopo il periodo di crisi che ha investito l’intero Paese.
L’obiettivo a breve termine è quello di incrementare la conoscenza della nostra realtà nell’ascolto e nell’incontro.

I social e la comunicazione

Rispondendo alle domande del pubblico mons Prastaro, vesocovo editore come qualche giornalista lo ha definito visto che la Gazzetta d’Asti è il giornale della Diose di cui il vescovo è appunto l’editore, ha raccontato di non essere sui social e di non usare Fabook o Twitter. “Non me ne vanto, certo, ma scrivere post e lanciare twitter bisogna avere competenze in materia e metterci impegno. I social vanno al di là del mio temperamento”.
Una riflessione anche sulla comunicazione: “Credo che oggi la comunicazione abbia perso i tempi di riflessione – ha commentato -. Non credo che l’immediatezza nel dare certe notizie sia positiva. Almeno io preferisco andare piano, forse anche per la mia esperienza missionaria in Kenya, dove i tempi non sono certo quelli occidentali”.