Via Catalani, zona ovest della città; palazzine di edilizia residenziale anni ’70 tutt’intorno. Piano rialzato, bell’ingresso, cucina, servizi e due stanze, luminoso e ben servito: vendesi, affittasi? No. Qui si ospita. Italiani, magari incappati nel girone infernale di debiti e mutui, di affetti e lavori in scadenza, di solitudini che tolgono il sonno, ritrovatisi all’improvviso con “tutto in una borsa”, in un tour di ricoveri e soluzioni provvisorie, cui la parola dormitorio non è che un sollievo temporaneo. Sono le Politiche sociali della Città a non arrendersi e ad aver immaginato una proiezione di futuro a questi “invisibili”, e dopo una prima, civile accoglienza che ha fornito un tetto e un letto, regolamentato tra le molte richieste, hanno proposto, d’accordo con l’Ufficio Patrimonio, una coabitazione in alloggio, in vista di una più certa autonomia abitativa e lavorativa. Gianni, Osvaldo e Natale, i loro nomi sono reali, andranno a vivere qui. Le loro storie son tutte diverse ma segnate da un medesimo approdo che ora li ha visti un po’ muratori e un po’ decoratori, per ripristinare al meglio i locali dove intanto la generosità di operatori e amici ha procurato l’essenziale di un arredo normale. Che la città abbia molti alloggi sfitti è risaputo: la notizia è che il Comune faccia buon uso dei suoi – i tre pagheranno infatti un affitto e le spese di condominio – e che il progetto sia “buono” in sè. “Perché l’accoglienza non è tutto – spiega l’assessore Piero Vercelli – la chiave sono “le reti” sociali che si mettono in moto e il self help delle persone coinvolte”.  Così un noto commerciante della zona ha fornito le tende, lavatrice e viveri arrivano grazie al Centro di ascolto Caritas della vicina parrocchia, persino le macerie non se ne sono andate via da sole. Stessa vituosa sorte toccherà presto a un altro alloggio posto di fronte, che ospiterà donne. Lì i lavori saranno più onerosi, ma qualche cosa si è già mosso.