Asti perde – alcuni – primari ma non i servizi. Cinque a cinque, due in sospeso. Non è un punteggio tennistico ma il risultato della nuova “spartizione” dei reparti tra l’ospedale di Asti e quello di Alessandria dopo la revisione del piano di rientro regionale promulgato il 19 novembre scorso e che prevedeva per il “Cardinal Massaia” la soppressione di 12 reparti da trasferire al “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”. I tagli non interesseranno – ha spiegato l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta giunto lunedì pomeriggio ad Asti in compagnia del direttore sanitario Fulvio Moirano – i reparti di Radioterapia, Gastroenterologia, Geriatria, Medicina trasfusionale e Chirurgia vascolare. Salvi, ma senza primario, i reparti di Diabetologia, Dietologia, Pneumologia e Maxillo facciale. Medicina Generale A e B saranno accorpate (lasciando un solo primario) mentre resta ancora incerto il futuro di Dermatologia e Malattie Infettive (bisogna valutare il rapporto di bacino d’utenza con quello di Alessandria, “abbiamo due anni per ragionarci su”, ha precisato Saitta). Dopo quasi due mesi di tam tam mediatico, raccolta firme (la petizione lanciata a difesa dell’ospedale ha raggiunto quota 30682 sottoscrittori) e previsioni di ricorso al Tar, Saitta è giunto nella nostra città per dire la sua a sindaci dell’Astigiano, sindacati e organi d’informazione, tutti sul piede di guerra per il possibile declassamento del Cardinal Massaia di Asti ad ospedale di serie “B”. La partita non può tuttavia definirsi chiusa: allo stato attuale il documento rappresenta solo un’intesa “verbale” (manca la sottoscrizione) e lascia non pochi malumori. Prima di addentrarci nelle reazioni a caldo di politici e addetti ai lavori, facciamo un passo indietro e analizziamo il discorso dell’assessore. LA RIFORMA DOPO LE MODIFICHE Saitta ha iniziato il suo intervento snocciolando alcuni numeri assai impietosi sulla sanità piemontese: “La nostra non è una Giunta di barbari che vuole distruggere la sanità pubblica. Un tempo il Piemonte era un’eccellenza in questo ambito, ora non più. L’offerta è troppo frammentata, ci sono reparti con bassa attività e questo comporta un rischio in termini di salute”. A conferma del fatto che il Piemonte non risulta più attraente come servizi sanitari, Saitta cita un dato: nel 2014 la nostra regione ha perso circa 260 milioni di euro in prestazioni, ossia, i pazienti che un tempo decidevano di farsi ricoverare nei nosocomi piemontesi oggi vanno a curarsi altrove (specialmente in Lombardia, Toscana, Liguria e nelle Marche). E poi i costi: “Il Piemonte è una delle regioni meno virtuose del Centro Nord, dal 2010 si conta uno spreco annuale di 400 milioni di euro”. Un’emorragia che non è passata inosservata al Governo, che dal 2011 ha posto la sanità regionale in stato di pre-commissariamento. Per uscirne sono necessari tagli e accorpamenti per un valore di almeno 150 milioni nel reparto sanitario, a tanto ammontano le risorse che spendiamo in più rispetto al Fondo Nazionale che percepiamo: “Questo quadro – ha ricordato nel recente passato il governatore Sergio Chiamparino – non consente più di risolvere ogni problema pensando che il sistema pubblico paga, comunque”. La delibera, sempre secondo Saitta, non tende quindi a “punire” Asti quanto semmai ad assicurare più salute ai cittadini e ridurre gli sprechi, confidando che sia la soluzione più accettabile dal governo centrale. La speranza dell’assessore è che si reperiscano fondi a sufficienza per assumere 600 infermieri in ambito regionale, una risposta necessaria alle pulsanti richieste del personale ospedaliero sempre più ridotto all’osso. Marcia avanti anche sul costruendo ospedale della Valle Belbo: “Completeremo la struttura, i risparmi derivanti da una gestione più sobria della spesa li riverseremo in opere di edilizia ospedaliera”. Nulla cambia, almeno per il momento, anche per il centro di Nizza dopo le voci di una sua possibile chiusura. Saitta guarda inoltre ai medici di base prevedendo una maggiore integrazione con la struttura sanitaria. Non manca poi una risposta alle polemiche: “Molte delle discussioni sono state sollevate da primari che hanno paura di non avere più un posto. C’è un grande problema di carattere etico: prima viene la saluta degli ammalati, poi la situazione personale, la sanità è un servizio complesso”. La perdita di cinque S.O.C. (primariati) comporta ovviamente una riduzione dei posti letto: se nella delibera si parlava di 50 in meno, ora il numero è sceso a 30. Un valore relativamente contenuto se si pensa ai 2400 che saranno tagliati in tutta la Regione. “Il problema non è dei posti letto – ha puntualizzato il direttore sanitario Fulvio Moirano – è semmai necessaria una giusta assistenza domiciliare. Fare ricoveri, specialmente se lunghi, a volte non è la risposta appropriata. Asti ha recuperato molta inefficienza negli ultimi anni ma ancora oggi usa 7 milioni di euro destinati ad altri territori”. LE REAZIONI Le reazioni, come accennato in precedenza, non sono mancate. Se da una parte il sindaco di Asti, Fabrizio Brignolo, guarda al bicchiere “mezzo pieno”, valutando positivamente gli accorgimenti della Regione (“sono passi avanti significativi rispetto alla delibera presentata a novembre”) e di fronte all’ipotesi di proseguire con la strada del ricorso al Tar temporeggia affermando che “è cambiato il contesto e dobbiamo valutare”, il sindaco di Canelli Marco Gabusi non accetta che “Asti sia trattata da figlia minore di Alessandria”, denunciando ancora forti preoccupazioni sul futuro dell’ospedale della Valle Belbo e sostenendo che, a suo avviso, il ricorso al Tar vada in ogni caso portato avanti prima di ricevere risposte ufficiali da Roma. La riforma, nonostante le modifiche, continua a non convincere anche Angela Quaglia (PdL) e Massimo Scognamiglio (FdS). La Quaglia, dopo aver consegnato i faldoni – con le oltre 30 mila firme – sul tavolo a cui sedeva l’assessore Saitta, ha criticato duramente i contenuti presentati: “Non vogliamo diventare un ospedale di primo livello come Alessandria ma almeno tenere tutti i servizi che abbiamo ora. Chiedo ancora che venga ritratta la delibera, così non va”, premendo il piede sull’acceleratore per il ricorso al Tar. Parole condivise da Scognamiglio e a cui l’assessore ha replicato con durezza: “Non accetto lezioni da chi (intendendo il Pdl, partito di riferimento della Quaglia) ci ha portato in questa condizione di commissariamento. Basta fare battaglie di carattere politico, dobbiamo guardare all’interesse generale e non solo a quello locale. E’ fondamentale fare fronte comune davanti al Governo o la strada sarà sempre più in salita”. Scetticismo anche nelle parole di Sandro Longu, infermiere del reparto di Pneumologia e rappresentante del Comitato per la Difesa della Sanità: “La situazione in ospedale è sempre più difficile, ci sono diversi pazienti “acuti” che stazionano per giorni sulle barelle del Pronto Soccorso. Nel 2001 (nel vecchio ospedale di via Botallo) era stata già decisa la chiusura di alcuni posti letto con la motivazione che si sarebbero potenziati i servizi territoriali. Ma non è stato così: i pazienti venivano collocati nelle corsie dei reparti. Speravamo che con il nuovo ospedale questi problemi fossero stati risolti ma la realtà è ben diversa”. Fabio Ruffinengo