Il covid 19 non perdona. L’intero comparto vinicolo a livello locale e nazionale ha dovuto confrontarsi con l’emergenza. Come reagiscono le associazioni di produttori locali? Quali le conseguenze della pandemia e quali le reazioni messe in atto per fronteggiare la crisi? Abbiamo affrontato il discorso con il presidente del gruppo di produttori del Ruchè, Luca Ferraris che rappresenta 22 produttori sul territorio.

In primis si parte dagli eventi. E’ stata infatti rinviata la Festa del Ruchè, organizzata in collaborazione con GoWine, al 7-9 maggio 2021, a Castagnole Monferrato, terra che ha dato i natali al prestigioso vino. “Un segno di responsabilità nei confronti della collettività e di chi, in questo periodo, si sta sacrificando per noi, a partire dal personale ospedaliero fino agli operatori della ristorazione e del turismo, che sono i nostri primi ambasciatori”.

“Come dice il nome stesso, la Festa del Ruchè è un momento di gioia e di incontro tra i produttori e il pubblico per scoprire questo vino unico nel proprio genere. Nel momento attuale, non ci sono i presupposti per questo spirito. Ciò non significa che le aziende siano ferme, anzi, in vigneto freme l’attività legata al risveglio della natura e l’Associazione si prepara per formulare una nuova proposta di incontro “virtuale”.

Quali sono state le perdite reali, in Italia e all’estero del vostro comparto?

Per quanto riguarda i mercati, il canale ho.re.ca è quello che ha avutole maggiori inflessioni negative, mentre ha tenuto abbastanza bene la grande distribuzione, in ogni caso, i dati in nostro possesso sugli imbottigliamenti non sono così negativi e quindi fanno ben sperare nella tenuta del comparto. Ci siamo comunque mossi, a livello di consiglio di amministrazione, per investire al meglio le risorse in campo di visibilità promozione.

Quali sono quindi le azioni per fronteggiare la situazione?

A breve partirà un calendario di degustazioni on line alla scoperta del Ruchè di Castagnole Monferrato, condotte dal blogger Francesco Saverio Russo, e in autunno è in programma un tour d’Italia dedicato agli incontri con questo vino straordinario in ristoranti ed enoteche.Oltre a questo ci siamo adattati alla richiesta primaria che si concentra sui social e gli eventi virtuali. Per questo abbiamo investito in social con agenzie competenti. Abbiamo poi deciso di puntare nel periodo autunnale, delle degustazioni tra i nostri associati per organizzare incontri reali a distanza di sicurezza.

Come mai questa scelta?

Sappiamo tutti che il vino è condivisione, convivialità, presenza fisica del produttore che racconta la propria storia. Per questo abbiamo in mente tour in tutta Italia per coinvolgere gli appassionati e concentrarci sul mercato italiano. Anche perché il nostro mondo è fatto di paesaggi, territorio, scorci suggestivi ed esperienze emozionali. Via web tutto ciò non è attuabile. Non dimentichiamoci che le nostre terre sono fatte di sapori, profumi e rapporti umani, sempre rispettando le nrome sanitarie e di sicurezza.

Per quanto riguarda la ripresa degli eventi a settembre del comparto enogastronomico ventilata dal presidente Alberto Cirio, a partie dalla Douja, quale è il vostro parere?

Il settembre astigiano per noi è una vetrina fondamentale. E’ stata cassata dalla Camea di Commercio di Asti senza interpellare il comparto enogastronomico, che di questo territorio è il cuore pulsante. Questo non è proprio corretto se si vuole tutelare l’economia dell’intera provincia che si basa sull’enoturismo. Sarebbe stato un buon modo er ripartire, organizzando le degustazioni e gli eventi ad hoc per rispettare le norme ma anche per dare la possibilità a chi di vino “vive” di rilanciarsi in modo efficace. Dopotutto Asti è la core business di un comparto che dà molto all’economia locale.

Pensiamo all’estero. Come si sta muovendo la situazione in materia di export?

I mercati asiatici hanno avuto una frenata già a gennaio, ma a marzo dalla Cina abbiamo avuto richieste per i ristoranti e ciò ci ha rincuorato. Il Giappone ha cominciato a muoversi a maggio. Negli Stati Uniti abbiamo mantenuto lo standard fine ad aprile, complice la smentita dei presunti dazi imposti da Trump sul mercato italiano. Anche la Danimarca, pochi giorni fa, ha richiesto forniture per i ristoranti. Di controtendenza la Germania, meno aperta all’importazione dei nostri prodotti.

L’associazione

L’Associazione Ruchè include 22 aziende su 25 produttori totali e i soci rappresentano circa il 90% della produzione, venduta in Italia e all’Estero. Oltre a Ferraris, nel cda figurano Franco Morando (Azienda Montalbera) eletto vicepresidente, Franco Cavallero (Cantine Sant’Agata), Daniela Amelio (Amelio Livio), Gianfranco Borna (Cantina Sociale di Castagnole), Roberto Morosinotto (Bersano) e Roberto Rossi (Vini Caldera). Segretario è stato eletto Dante Garrone (Garrone Evasio e Figli).

Il vitigno

Il vitigno Ruchè viene coltivato sin dal Medioevo sulle colline del Monferrato e in particolare nei dintorni di Castagnole Monferrato, sua zona d’elezione. Il Ruchè per un periodo di tempo molto lungo non è stato un vitigno popolare e la sua presenza si limitava a qualche sporadica pianta tra i filari di Barbera e Grignolino. Ma i viticoltori iniziarono a impiantarlo e a vinificarlo facendolo diventare una risorsa importantissima per il territorio di Castagnole Monferrato, come testimoniato dall’assegnazione dell’appellazione di vino DOC nel 1987, seguita poi dalla DOCG nel 2010. In base al disciplinare l’area di produzione del Ruchè di Castagnole Monferrato è veramente limitatissima e circoscritta ai comuni di Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi. La produzione è circoscritta a circa 650.000 bottiglie suddivise tra una ventina di produttori. L’uva Ruchè si presenta in grappoli abbastanza grossi ma non molto compatti, l’acino è di media grandezza e la buccia spessa.

Manuela Caracciolo