Claudio Lucia, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Asti, parla dell’attuale situazione di emergenza sanitaria, dei tamponi rapidi, del vaccino antinfluenzale e del lockdown. Un’intervista a 360 gradi sulle principali tematiche sanitarie del momento.

Dottor Lucia, come stanno affrontando i medici di base questa nuova ondata di covid 19?

“Sicuramente la mole di lavoro è aumentata, ma non è questo il vero problema. La difficoltà più grande è il non funzionamento della tecnologia e in particolare della piattaforma Covid, dove i medici di base devono inserire i nominativi dei pazienti a cui fare il tampone. Un medico ieri ha impiegato 37 minuti per inserire un nominativo, senza che la procedura andasse a buon fine perché il programma è inchiodato. E’ inutile parlare dell’importanza dei tracciamenti se la tecnologia non supporta il nostro operato.”

Quali aspetti preoccupano di più, a suo parere?

“L’aspetto più preoccupante è quello del gran numero di positivi asintomatici che, ovviamente, vanno in giro senza sapere di essere malati. Non fare i tamponi a questa categoria significa innescare una bomba. Un’altra grande preoccupazione riguarda il periodo successivo a Natale, quando arriverà l’ondata dell’influenza stagionale, che da sempre prevede un certo numero di aggravamenti per pazienti con uno stato di salute già compromesso. Penso quindi a polmoniti virali e altre situazioni difficili. Ammesso che la rianimazione riesca a tenere, mi preoccupano anche i reparti di medicina, convertiti a reparti covid, che faticheranno ad accogliere i pazienti.”

Ritiene che i meccanismi per le diagnosi covid previsti dal Dipartimento di prevenzione siano adeguati?

“Ci troviamo in una situazione molto complessa, ma è proprio in questi casi che si può migliorare. E’ necessario partire dal territorio. Mi spiego. L’ospedale di Asti e il pronto soccorso dovrebbero servire solo per i casi gravi e i pazienti con sintomi acuti. I cronici o le sintomatologie lievi devono essere curati sul territorio. Per sollevare la struttura ospedaliera bisognerebbe creare un’equipe multidisciplinare composta da in internista, un infettivologo e un infermiere professionale con a disposizione un ecografo polmonare che intervengano direttamente a domicilio, a casa del paziente. In questo modo i positivi con sintomi lievi e curabili a casa non entrano in contatto con l’ospedale o altre persone, rischiando di allargare il contagio. Questo piano potrebbe servire in numerosi altri casi, non solo per il covid.”

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 13 novembre 2020

Laura Avidano