Il professor Franco Pizzetti insegna Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Torino, già presidente dell’Autorità Garante. Si è occupato di riforme istituzionali, diritto regionale e ordinamenti federativi. Ha scritto più di un centinaio tra saggi e articoli scientifici in materia di diritto costituzionale, italiano e comparato, diritto regionale e diritto pubblico. Con l’esimio docente parliamo della riforma elettorale che domenica interesserà gli elettori italiani.

Domenica si voterà per la prima volta un parlamento composto da 400 deputati e 200 senatori elettivi. Professor Pizzetti, come vede questa riduzione? 

“La riduzione del numero dei parlamentari è una scelta significativa e certamente da un lato coerente con il fatto che il Parlamento italiano è sempre stato sempre un po’ sovradimensionato.  Di per sé il numero attuale non mi sembra particolarmente censurabile. Va tenuto presente, cosa che non viene detta molto, che naturalmente questo diminuisce il costo del parlamento non solo durante la legislatura ma nel lungo periodo, perché anche i trattamenti pensionistici riconosciuti agli ex deputati ed ex senatori diminuiscono come pressione sul bilancio statale. C’è da dire che questo Inciderà in una certa misura, ma il tema fondamentale è la rappresentanza perché il rapporto fra eletti ed elettori cambia aumentando il numero di eletti che sono rappresentati da ciascun elettore”.

Una riduzione della rappresentanza. Meno parlamentari meno democrazia?

“Prima bisognerebbe sapere cosa si intende per democrazia. Quello che penso è che stiamo assistendo a una significativa crescita della crisi della rappresentanza. Questo è il vero problema che è in gioco in questo periodo e alle prossime elezioni. Una crisi della rappresentanza che è segnalata sicuramente dalla crescente astensione dal voto ma che è segnalata anche dal sistema elettorale adottato. Sistema elettorale che, a sua volta, è anche la conseguenza del cambiamento del sistema politico italiano che è già avvenuto cominciando dal 1992. Noi non abbiamo una classe dirigente organizzata in partiti, intesi come soggetti permanenti che abbiano dei responsabili individuati al di là del fatto formale, sulla carta. Per questo il fondamento della rappresentanza che io, rappresentato, posso controllare cosa fa il mio rappresentante e chiedergli conto delle sue scelte ed eventualmente rivotarlo o non rivotarlo più alle prossime elezioni, va in crisi, perché con questo sistema elettorale chi è il mio rappresentante?

Nel momento in cui io non posso votare il candidato, salvo che nel collegio uninominale, mi è anche difficile capire chi risponde del voto che io, elettore, ho dato a lui, perché io stesso non so con chiarezza che effetto ha avuto il mio voto sull’elezione di Tizio piuttosto che di Caio. uesto non sarebbe drammatico se ci fosse un sistema effettivo di partiti. Così com’è, i partiti nascono e muoiono continuamente. Significa che può accadere che alle elezioni successive il partito votato non c’è più, ha cambiato nome, ha cambiato sistema di alleanze e per di più giocando molto sulla coalizione, io voto una lista che in molti casi è coalizionale e il risultato del mio voto non dipende dalla persona che voto- che non posso votare – ma dai voti dati alla lista e da come questo voto incide di preciso sulla distribuzione dei voti fra i candidati. Quindi la vera crisi della rappresentanza è che vacilla il principio fondamentale: io ho votato te e tu mi devi rendere conto di cosa stai facendo”.

Professore, considerata la sua esperienza, pensa che i giovani si sentano coinvolti? Voteranno? 

“Come professore che continua a insegnare, sono oltre 40 i miei anni di insegnamento effettivo, non posso non notare una crescente diminuzione della capacità dei giovani di sapere comprendere e trarre conseguenze da quello che vedono e lasciamo perdere la storia dei social che c’entra assai poco. Casomai il problema è che non abbiamo neanche più un’informazione. Non a caso la crisi dei giornali stampati è ormai elevatissima e l’informazione televisiva è emozionale perché l’informazione televisiva è questo, gioca su più piani. È molto meno costoso fare un’ora di trasmissione televisiva con i cosiddetti talk show o trasmissioni pseudo informative che qualunque altra forma di spettacolo; gli esperti fanno a gomitate per andarci traendo vantaggio dalla fama che acquisiscono. Questo fa sì che sia sempre più sviluppata l’informazione televisiva la quale, proprio perché è mossa dagli indici di ascolto come tutto quello che avviene in televisione, è completamente falsata, è un’informazione che deve essere data in modo urlato, In modo emozionale, soffermandosi continuamente su notizie magari marginali, ma che possono emozionare”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 23 settembre 2022

Alessia Conti