Si è arruolata nell’esercito italiano ed è stata di stanza in Medio Oriente. Dopo essersi congedata nel 2009, oggi Laura Secci è scrittrice e giornalista de La Stampa. È stata reporter di guerra in Libia, Afghanistan, Iraq e Siria. La sua esperienza di soldato, come si definisce senza mezzi termini, proprio a Kabul, ci aiuta a interpretare meglio cosa sta succedendo in Afghanistan e qual sia il posto dell’Italia in Medio Oriente.

Laura Secci, dopo essersi laureata è entrata nell’esercito italiano. In che anni è stata mandata in Afganistan e di cosa si occupavano in quelle terre i nostri militari?
“Sono stata impiegata in Afghanistan due volte, facevo parte della missione Isaf ,”International Security Assistance Force”, iniziata nell’agosto 2003 e conclusa a dicembre 2014. Io ho preso parte alla missione nel 2006 e nel 2007. Era una forza di intervento internazionale nata con il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell’autorità provvisoria afghana insediatasi a Kabul. I soldati italiani avevano in parte la responsabilità nell’area della capitale Kabul e poi del Regional Command West, uno dei cinque settori regionali in cui si suddivide l’Afghanistan”.

Lei in prima persona di cosa si occupava?
“Io non facevo parte di una delle Brigate che si avvicendavano ogni sei mesi in Afghanistan. Appartenevo al Media Combat Team che dipende direttamente dallo Stato Maggiore dell’Esercito. È un nucleo composto da militari foto cineoperatori che, oltre a svolgere le normali attività, avevano il compito di documentarle con video e foto. Come i media combat degli altri Paesi che partecipavano alla missione, non stavo nella base italiana di Kabul a Camp Invicta né nella base di Herat, ma nel quartier generale HQ americano al centro di Kabul”.

Deve riassumere in un’immagine la sua esperienza in Afghanistan. Quale sceglie?
“La prima volta che, dopo mesi che ero a Kabul, una bambina afgana ha vinto il timore delle armi e della mimetica che avevo addosso e ha voluto che la prendessi in braccio. È riuscita, da sola, a vincere con un solo gesto quella diffidenza atavica, e quel velo di disprezzo che tutti gli altri afgani incontrati fino a quel momento mi avevano buttato addosso. Un collega immortalò quel momento che resta, a distanza di anni, l’immagine che rappresenta meglio di qualunque altra le emozioni di quel periodo. E anche l’ammirazione che nutro tuttora verso il coraggio del popolo afgano”.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 10 settembre 2021

Danilo Bussi