“Se tutto il mare di questa terra fosse inchiostro, e tutto il cielo dell’universo fosse un foglio, penso che non sarebbero sufficienti per descrivere a fondo tutte le malvagità e i delitti più atroci di cui si sono macchiati”. 

Dalle parole di Anna Cherchi, antifascista e partigiana di Loazzolo, è tratto il titolo dell’ultimo libro di Nicoletta Fasano “Se tutto il mare di questa terra fosse inchiostro… deportazioni, storia, memorie” (Israt). 

L’autrice presenterà il suo libro, domani, sabato, in occasione della Giornata della Memoria, alle 17 alla Biblioteca “Astense” e sarà intervistata da Alessia Conti.

Perché questo lavoro? 

“Luciano Nattino diceva: “Si registra e si segna. Si tutelano storie, si raccontano, si consegnano ai nuovi venuti“. La stesura è durata circa quattro anni, nei momenti liberi. Avevo già scritto su questo argomento ma era necessario raccogliere il materiale in un unico volume aggiornato. Un modo anche per valorizzare quanto raccolto in decenni di vita dell’Israt. Nel tempo, intervistando le stesse persone, abbiamo assistito ai cambiamenti della memoria e alle trasformazioni delle testimonianze. La memoria, infatti, è un atto creativo e vivo”. 

Qualche ricordo sui protagonisti del saggio? 

“Li ho conosciuti tutti, anche i molti che non si ritrovano nel libro. Li porto nel cuore. Si sono creati legami profondi e bellissimi. Nonostante fossimo di generazioni diverse, il loro sguardo era benevolo con noi. Mi ha colpito l’episodio del marzo 1993, all’inizio del mio lavoro stabile all’Israt che ho inserito nel libro. Con la Fondazione Auschiwitz organizzammo una mostra di grande successo, tanto da prorogarla. Per due giorni Enrica ed Elda Jona rimasero a osservarci severe. Il terzo giorno se ne andarono dicendo: “Va bene così!”. Era una promozione sul campo, un passaggio di testimone conquistato con la paura e l’ansia di sbagliare. Lo stesso è successo con gli altri testimoni. Durante il viaggio di ritorno dalle scuole raccontavano cose che non avevano detto. Sapevano che potevamo comprenderli e avevano fiducia anche grazie al nostro continuo approfondire”. 

Come si intersecano il ruolo da ricercatrice e l’aspetto umano? 

“Il problema è tenere separate le due sfere perché il lavoro dello storico richiede distacco. Si supera, con difficoltà, con esperienza e anni di studio. Nel saggio ho dato più spazio all’aspetto umano, a uno stile più creativo e ho espresso anche alcune riflessioni molto personali”. 

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 26 gennaio 2024

Giovanna Cravanzola