Il covid non allenta la sua morsa e continua a fare male. La speranza che con l’estate la situazione potesse definitivamente rientrare si è infranta con l’arrivo dell’autunno e il moltiplicarsi di casi, di malati, di ricoveri e purtroppo di vittime. Ne parliamo con il professor Pietro Luigi Garavelli, 59 anni, da oltre 20 anni primario della Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara.

Piemonte zona rossa, in lockdown, una cartina, quella italiana, che continua a cambiare colore, passando dal giallo all’arancio al rosso, con il Governo che rincorre ulteriori e più restrittive decisioni. Ma si poteva prevedere questa situazione alla luce di quello che è successo questa primavera?

Sì è così. Quanto sta accadendo era prevedibile in quanto Il virus risponde a una logica del tutto o nulla, nel senso che o poteva scomparire definitivamente quando le condizioni climatiche erano poco favorevoli alla sua trasmissione, cioè in estate, o, come è successo, poteva  riprendere con un clima più favorevole alla sua diffusione, quindi in autunno.

Ma quindi si poteva fare qualcosa in previsione di questo?

Si poteva lavorare sulla organizzazione dal punto di vista dell’assistenza ospedaliera e territoriale. Nel primo caso si sarebbero dovuti prevedere per singoli ospedali reparti da identificare in successione per i ricoveri e provvedere a materiale e personale sanitario; per quanto riguarda l’assistenza  territoriale, invece, avremmo dovuto  prepararci alle cure domiciliari per trattenere fuori dall’ospedale il maggior numero di pazienti possibili con farmaci e personale dedicato e addestrato.

E il lockdown, invece, rappresenta una soluzione?

Dal punto di vista clinico il lockdown non funziona. Non si tratta di una cura ma lo si fa per evitare che la sanità collassi. Negli ultimi anni il sistema sanitario ha subito grossi tagli, basti pensare che solo nelle Malattie Infettive sono saltati 600 posti letto. Gli ospedali non sono quindi in grado di poter rispondere alla grande massa di malati con necessità di cure ospedaliere. Per questo il lockdown è stato introdotto, con pesanti conseguenze psichiche, economiche e sociali. Se il virus non modificherà la sua aggressività azzerando la trasmissione, se non sussistono condizioni esterne, cura o vaccino il lockdown non può funzionare perché, persistendo il virus nell’ambiente, quando la popolazione si riespone questa si ricontagerà.

L’intervista completa sul numero della Gazzetta d’Asti in edicola da venerdì 13 novembre 2020