Sta volgendo al termine il giro di interviste della Gazzetta d’Asti agli scrittori finalisti ad Asti d’Appello. Dopo Fausta Garavini, Giovanni Cocco, Vincenzo Latronico, Lidia Ravera, Letizia Muratori, Carola Susani Anna Maria Falchi e Alessandro Perissinotto oggi è la volta di Paolo di Paolo, finalista al Premio Strega con Mandami tanta vita, ed. Feltrinelli. Come descriverebbe “Mandami tanta vita”? “È un libro, in fondo, sulla quantità di energia che siamo disposti a spendere, a mettere in gioco nell’epoca di cui siamo ospiti – più o meno ingrata che sia. Quella che racconto – l’Italia della metà degli anni Venti, con un regime dittatoriale che si consolidava, con una guerra alle spalle e un’altra all’orizzonte, non era certo un campo facile su cui giocare la partita della propria giovinezza. Eppure il protagonista a cui mi ispiro, Piero Gobetti, ci ha messo tutto lo slancio possibile. E’ il segno di una generazione che non si arrendeva facilmente (come invece spesso sembra quella a cui appartengo)”. Qual è la sua esperienza e quale il suo giudizio sui premi letterari in Italia? “Hanno molti pro e alcuni contro. I pro riguardano l’allargamento di uno spazio di visibilità per i libri oggi di per sé molto ridotto. E poi sono sempre un incoraggiamento: uno scrittore, anche se non lo confessa, ne ha bisogno”. Cosa pensa degli altri scrittori in concorso e del Premio Asti d’Appello? “Conosco praticamente tutti gli autori coinvolti, la gran parte anche di persona. Il premio Asti d’Appello ha il presupposto divertente di essere una “seconda opportunità” – cosa che, in genere, nella vita viene offerta di rado”. MN
Tre domande a… Paolo Di Paolo
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