lidia raveraDopo l’intervista di Fausta Garavini, finalista al Premio Bagutta con “Storie di donne”, edizioni Bompiani e quella a Giovanni Cocco, finalista al Premio Campiello con “La caduta” ed. Nutrimenti, ieri, domenica, abbiamo pubblicato le risposte di Vincenzo Latronico, finalista al Premio Comisso con La cospirazione delle colombe, ed. Bompiani: fino a domenica prossima infatti daremo spazio ogni giorno a una breve intervista a ciascuno degli scrittori in concorso per l’edizione 2013 del Premio Asti d’Appello. A tutti abbiamo fatto le stesse domande. Oggi parliamo Lidia Ravera, finalista al Premio Cortina con Piangi pure ed. Bompiani Come descriverebbe “Piangi pure”? “Il mio libro è una scommessa: volevo parlare della vecchiaia, della malattia e della morte. E volevo parlarne come di eventi tollerabili, quasi amici. Come parti, degne e decenti, al pari di tutti i passaggi della nostra vita su questa terra. E non come orrori da cui stornare lo sguardo a qualsiasi prezzo. Il mio libro è un’urgenza: mi metto sempre in ascolto di quello che mi preme, quando aspetto, fra un libro e un altro, che una storia emerga. Ho capito che mi premeva questa frase, quasi uno slogan: che la vita duri tutta la vita. Che non finisca prima. Che non finisca quando lo decide lo stereotipo consumista della giovinezza. Che si continui ad amare, a credere, a sognare. A sedurre. A guardarsi riflessi negli occhi di un altro. A cercare l’altro. A vederlo, a sceglierlo. Il mio libro è una storia semplice: Iris ha 79 anni, vende la nuda proprietà della sua casa perché non sopporta più la povertà. Il gesto le scatena sensi di morte, perché ha fatto una scommessa sulla durata della sua vita. Non posso raccontare tutta la vicenda: i romanzi vanno letti, sono costruiti per piccole oscillazioni, minuscoli slittamenti del reale, dell’immaginato. Basti sapere che questa è una storia d’amore e di seduzione, che si svolge nei tempi supplementari della vita. La sostanza è lì: una fiaba, morfologicamente perfetta. Con il male fuori. E il bene, addolorato e svelto, che trionfa nonostante”. Qual è la sua esperienza e quale il suo giudizio sui premi letterari in Italia? “Mi danno una grande gioia. Mi sento come una bambina a una festa. Alle elementari la maestra mi dava dei cartoncini verdi che si chiamavano “buone note”. Ogni dieci buone note potevo scegliere fra la medaglia e un regalino. Sceglievo il regalino. Non sono cambiata. Concorro spavalda perché sono competitiva, mi piace moltissimo vincere. I premi servono a questo, a far leggere libri, a far contenti scrittori”. Cosa pensa degli altri scrittori in concorso e del Premio Asti d’Appello? “Alcuni sì, altri no. Leggerei di più, se avessi più tempo. Il premio Asti d’Appello è un’idea geniale. Io il premio Cortina pensavo proprio che l’avrei vinto. Avevo un romanzo forte, i competitor non mi sembravano inarrivabili o eccelsi. Ho perso, mi hanno detto, per un punto. Lì per lì ci sono rimasta male. Poi mi sono consolata. Se avessi saputo che c’era l’Asti d’Appello sarei stata ben felice di arrivare seconda. E’ molto più divertente essere giudicate dai giudici , dai magistrati, che dai letterati. Ti fa sentire come un criminale, cosa che in effetti sei, visto che vivo rubando le vite degli altri”. Marianna Natale piangi pure